giovedì, Aprile 25, 2024

Perché tanto livore nei confronti dei Baustelle?

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Sempre più spesso quando proviamo ad interpretare strani comportamenti o tendenze sui social network ci sentiamo come dei piccoli sociologi o antropologi di fronte a una nuova razza (Noi) che credevamo conoscere bene, ma che ogni volta ci sorprende.

Anche questa volta siamo stati travolti nelle nostre timeline (non in tutte, ovviamente, ma in molte) da un’ondata di livore nei confronti dell’uscita di un disco, il che se da una parte ci dice che la musica italiana smuove ancora gli animi, dall’altra ci pone tanti interrogativi.

Ma partiamo dall’antefatto. Lo scorso venerdì è uscito il nuovo disco dei Baustelle “L’amore e la violenza” e, insieme a questo, anche il video di Amanda Lear, singolo contenuto nel disco e già uscito qualche settimana fa.

I Baustelle sono una band che è sulle scene da più di 15 anni e quindi ha un nutrito zoccolo duro di fan che li segue e li supporta. Ovviamente però questa volta grazie ai servizi di streaming gratuito, molte altre persone hanno potuto ascoltare, magari superficialmente, l’intero disco e si sono sentiti in dovere di dire la loro, stemperando gli entusiasmi dei fan e screditando con linguaggio colorito gli artisti in questione, che nel caso Baustelle è stato particolarmente violento.

Hype e hater ormai vanno di pari passo, ovvero quando c’è un evento su cui viene creata una certa attesa, si scatena come compensazione una folla trasudante bile che spara a zero sul fenomeno in arrivo. Questo ormai è un fatto su cui ci abbiamo fatto il callo, tuttavia esistono dei casi in cui tale reazione è particolarmente forte. E qui la domanda: come mai si è scatenato così violentemente sui Baustelle?

L’impressione è che a molti non sia andato giù il fatto che i Baustelle, dopo due dischi piuttosto difficili e alti (sul misticismo e sulla morte), abbiano deciso di tornare a sporcarsi le mani con il pop, sempre però con il loro approccio d’autore, complesso, stratificato e citazionista, freddo ed estetizzante. Se ci pensate bene è un po’ lo stesso approccio utilizzato da Paolo Sorrentino nel cinema, specialmente in La grande bellezza, film apprezzato da molti, ma anche molto odiato.

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Ho l’impressione che laddove un autore voglia affrontare il pop (Bianconi e soci sulla musica, Sorrentino nel cinema) con un’intenzione che non sia propriamente leggera e lieve, venga puntualmente punito dal pubblico italiano. Insomma, il canto pomposo ed enfatico à la De Andrè di Bianconi con i riferimenti religiosi dissacrati con parolacce e droghe e tutto quel mondo “meta” fa il paio con le nane, le frasi filosofiche, i fenicotteri e le suore che fumano del regista napoletano.

A differenza degli anglosassoni che utilizzano il pop per realizzare prodotti culturali particolarmente sofisticati e complessi (basti pensare ai Pulp, a cui si ispirano gli stessi Baustelle) in Italia il pop deve rimanere un prodotto da consumare superficialmente: anche le citazioni di artisti che avevano provato lo stesso approccio in tempi pre-social – Battiato sulla musica, Fellini nel cinema – vengono viste da molti come volgari plagi da punire con un carico di bile e livore. Per fortuna sono fenomeni che durano solo pochi giorni, e poi si sgonfiano.

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