giovedì, Aprile 25, 2024

The Fall: 50 sfumature di Spector e altri serial killer

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I candidati sono tanti in tv, se mai si volesse scegliere il proprio serial killer preferito. Sarebbe difficile resistere a Dexter, amichevole assassino di quartiere, mentre sorride in camera rendendoci complici per poi metterci a parte dei tormenti provocati dal suo passeggero oscuro? Più arduo ancora non soccombere alla folle esuberanza egomaniacale dell’amorale Moriarty di Sherlock, e tutto sommato facile comprendere il fascino del Joe Carroll di The Following, che con il suo carisma intellettuale trasforma gli accoliti in adoranti servitori disposte a immolarsi per lui. Meno ovvia, l’attrazione che scatena l’Hannibal Lecter della serie ispirata ai romanzi di Thomas Harris, un uomo non bello, dall’accento fastidioso e un gusto discutibile per le giacche anni ’70 che riesce, tuttavia, ad azzerare le facoltà mentali degli spettatori assuefacendoli al suo aberrante senso etico e coinvolgendoli nella sua malata passione per Will Graham.

I trucchi dell’assassino
La serialità recente ci ha assuefatti al fascino degli assassini seriali dalla moralità flessibile e dal magnetismo inspiegabile, personaggi studiati a tavolino per appellarsi a quella parte della natura umana attratta dal Male; ha imbellettato serial killer originariamente repellenti (basti pensare al Dente di fata di Il drago rosso che in Hannibal è un omicida atletico e prestante con le fattezze di Richard Armitage). Quando queste figure erano lo specchio nero e deformante del nostro lato oscuro – come il Bob di Twin Peaks ,- del loro passato costellato di abusi e patimenti non fregava niente a nessuno. Nessuna empatia, nessuna immedesimazione, solo l’Altro da temere e combattere.

Dopo la dipartita melodrammatica di due tra i serial killer della tv più amati degli ultimi anni – il primo, Moriarty, così ossessionato dal suo avversario da spararsi in bocca; il secondo, Lecter, così innamorato del suo avversario da lasciarsi spingere giù da un dirupo – è rimasto (ancora per poco, mancano un paio di puntate alla fine della stagione di The Fall – Caccia al killer su Sky Atlantic) Paul Spector, antagonista nella serie irlandese prodotta da Allan Cubitt (La legge di Murphy).

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Irresistibile Paul Spector
Il belloccio (con il volto di Jamie Dornan, noto per la saga – blandamente – erotica di 50 sfumature di grigio dove lega e scudiscia le donne ma con intenti innocui) è traumatizzato dal suicidio della genitrice e vendica il rifiuto materno torturando e strangolando ragazze, e seducendo adolescenti come l’insoddisfatta Katie. Il pubblico è come quest’ultima: cede a un processo di memoria selettiva attraverso il quale dimentichiamo di avere di fronte un mostro, isolando i suoi exploit omicidi e focalizzandoci su quello che ci piace di più di lui: l’aspetto gradevole, l’amore e affezione che dimostra in qualità di padre, la sua capacità di suscitare compassione in virtù dei tormenti di un passato da orfano circondato da preti pedofili.

Anche il Dexter della serie eponima era un ottimo papà; era anche un buon marito ma le mogli di entrambi hanno pagato l’aver ignorato l’oscurità nei propri partner. Esser loro così vicino, paradossalmente, le ha rese cieche, ma il pubblico vede, e nonostante questo non riesce ad affrancarsi dall’attrazione.

Ignorare l’orrore
Non c’è un valido motivo per trovare affascinante qualcuno che umilia, sevizia e uccide, ma la sceneggiatura e la messa in scena del personaggio ci depista, amplificando gli aspetti piacevoli e offuscando quelli riprovevoli. Siamo lontani dalla rappresentazione dei veri serial killer, mostri anonimi come il re giallo di True Detective di cui non riusciamo neanche a quantificare l’orrore interiore per quanto è immenso: Spector, messo in primo piano dalla trama – sappiamo sin dall’inizio che l’assassino è lui – ci viene mostrato nella sua quotidianità, diventa familiare, come la sua voce mentre si confessa a Stella, la detective incaricata di catturarlo.

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Il punto di vista
La nostra mente è programmata per proteggerci da quello che ci fa troppo orrore e paura, da quello che non capiamo e non accettiamo; d’altro canto, l’ignoto esercita un’attrazione imponente – sebbene l’oggetto della ricerca sia morboso, come quando ci ostiniamo a guardare le foto dei barattoli in cui il vero serial killer Ted Bundy infilava gli organi delle sue vittime. Se la telecamera avesse seguito una delle vittime di Spector sin dalla prima puntata e poi ci avesse condotti attraverso i meandri del terrore e della sofferenza inflitti da questo, inevitabilmente lo avremmo trovato totalmente spregevole, riservando tutta l’empatia per lei.

The Fall offre comunque un’analisi equilibrata – abbiamo il punto di vista di Paul, di Stella, di Katie, della sopravvissuta Rose – di un fenomeno inspiegabile, quello di una perversione della nostra specie che affonda in abissi senza fondo; ma in fondo a quell’abisso c’è la luce, rassicurante, rappresentata dalla prospettiva che Spector, alla fine, non la farà franca. Questa terza stagione di The Fall è l’ultima della serie che prevede la presenza del personaggio di Dornan (se ci staranno annate successive, Stella si confronterà con altri antagonisti): da un lato ci rassicura che, in un modo o nell’altro, lo strangolatore di Belfast è stato fermato, dall’altra ci ricorda che di mostri, là fuori, ce ne sono ancora molti e, a loro, delle ragioni delle vittime non importa nulla.

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