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Con l’avvicinarsi del giorno dell’elezione del presidente degli Stati Uniti, l’8 novembre, i sondaggi e gli opinionisti appaiono sempre più insicuri nell’affidare la vittoria a uno o all’altro candidato. Hillary Clinton partiva con un solido capitale di voti, ma sembra averlo in parte disperso per lo scandalo delle email e per la campagna aggressiva del rivale Donald Trump. Bombardati da una campagna sulle elezioni Usa ferocissima, concentrata su attacchi personali più che su politiche di governo, gli elettori americani si apprestano a eleggere un Presidente utilizzando un sistema elettorale per molti versi assai peculiare, con alcune caratteristiche che a noi europei appaiono abbastanza strane. Vediamo quali.
Quando si vota
La maggior parte delle stranezze che caratterizzano le elezioni Usa deriva dal fatto che la Costituzione venne scritta sul finire del 1700, ovvero quando gli Stati Uniti erano un agglomerato di Stati (poco) popolati di contadini immigrati dall’Europa.
Proprio da questa caratteristica deriva la prima particolarità: perché l’election day si tiene nei primi giorni di novembre? E perché dura solo un giorno? Una legge del Congresso del 1845 (tuttora attiva) prescrive che si voti “il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre”, dunque nei giorni compresi tra il 2 e l’8 novembre. Questa previsione fu fatta per due ragioni.
Fu scelto il martedì e non il lunedì per evitare che potesse interferire con la domenica: il giorno del Signore non doveva essere perturbato da discussioni politiche.
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Inoltre, gli altri giorni della settimana erano giorni di mercato nelle città e nei villaggi, dunque le uniche occasioni per guadagnare qualcosa e stringere affari. Anche questi giorni non potevano essere disturbati: rimaneva libero solo il martedì.
Similmente, si scelse novembre perché era il momento in cui i contadini avevano finito di preparare i campi al lungo inverno nordamericano, ma l’inverno stesso non era ancora entrato nel suo periodo più rigido. Per dei contadini che si dovevano recare a cavallo o a piedi ai seggi (a volte distanti decine di chilometri) era quindi il momento migliore.
In sostanza, quindi, furono scelti i primi giorni di Novembre perché gli Stati Uniti di allora erano formati in prevalenza da contadini bianchi di fede cristiana.
Chi può votare
Stabilito quando votare, bisogna capire chi ha diritto al voto. Negli Stati Uniti (come, del resto, in quasi tutte le democrazie) il diritto al voto si ottiene automaticamente al momento di compiere 18 anni. Ma a differenza di molti altri paesi, tra cui l’Italia, chi ha diritto di voto deve iscriversi a un registro pubblico degli elettori, altrimenti non può esercitarlo
L’obbligo di iscrizione vale in tutti gli Stati della federazione, tranne che in Oregon, e ha portato a far sì che quasi un quarto degli elettori non siano iscritti: circa 51 milioni di possibili votanti non sono mai andati a un seggio, secondo uno studio del 2012. Questo è dovuto ad una serie di ragioni pratiche, ma anche a molti falsi miti.
Per votare a un’elezione, molti si devono iscrivere qualche settimana prima del giorno elettorale (le tempistiche variano da stato a stato). Per ridurre il numero dei non iscritti, alcuni stati prevedono la possibilità di iscriversi direttamente al seggio. Sempre con questo obiettivo, in molti altri stati ci si può iscrivere anche quando si fa un documento di identità o la patente o si chiede un sussidio pubblico. Tuttavia, milioni di americani rimangono molto restii a votare. Le ragioni sono essenzialmente due, e sono entrambe parzialmente vere.
Alcuni, per prima cosa, temono che iscrivendosi all’elenco degli elettori si venga automaticamente iscritti anche a quello per diventare giudici popolari. La cosiddetta jury duty, che spaventa molti elettori soprattutto con redditi bassi, consiste nell’essere chiamati a far parte delle giurie popolari, in modo quasi obbligatorio, che nel sistema legale americano hanno un ruolo rilevante nei processi.
Una persona chiamata a diventare giurato (solitamente per uno o due mesi) può rifiutarsi, ma dopo un certo numero di rifiuti va incontro a multe o addirittura al carcere (perché viene considerato offesa alla corte). Il datore di lavoro non può licenziare chi è chiamato al jury duty, tuttavia non è obbligato a pagargli il salario. Quest’ultimo fatto, quindi, è la ragione principale per cui negli Stati Uniti molti temono di essere chiamati a far parte di una giuria.
I potenziali elettori quindi non si iscrivono, sebbene il jury duty non sia connesso solo con i registri degli elettori. Questo servizio pubblico diventa obbligatorio per qualsiasi maggiorenne che richieda attivamente al governo un documento (che sia di identità o la patente, per esempio).
C’è un altro fattore che influenza la non iscrizione ai registri elettorali, e questo è proprio un falso mito. Molti, infatti, ritengono che iscrivendosi si entri automaticamente nella coscrizione militare obbligatoria. Questo mito deriva ancora oggi dal trauma vissuto dagli statunitensi durante la guerra del Vietnam. L’esercito americano è oggi interamente composto da volontari. La leva obbligatoria è stata formalmente abolita negli anni ‘80, ma sopravvive solo in forma simbolica: ogni persona tra i 18 ai 25 anni deve iscriversi, ma è sostanzialmente un pro-forma. Moltissimi ragazzi non si iscrivono ed è dal 1985 che nessuno viene perseguito per non essersi iscritto.
Gli Stati Uniti hanno utilizzato i riservisti (ragazzi che quindi non avevano la precisa volontà di andare in guerra, e dunque erano anche poco preparati) solo in cinque occasioni. Nonostante ciò, il trauma dell’arrivo della lettera di coscrizione obbligatoria per la guerra del Vietnam, in particolare, è ancora molto forte nella cultura americana, e tutt’oggi inibisce molti dall’iscriversi alle liste degli elettori, anche se coscrizione e iscrizione per votare sono due cose ben distinte anche dal punto di vista legale.
Le cinque guerre in cui furono usati i riservisti
Come si vota
Contrariamente a quanto spesso si pensa in Europa, negli Stati Uniti i candidati presidente non sono mai stati solo due. Anche in queste elezioni ci sono circa 30 candidati. Hillary Clinton e Donald Trump sono gli unici candidati in tutti gli Stati della federazione; due candidati (Gary Johnson per il Partito libertario e Jill Stein per i Verdi) si presentano in 20 stati; la maggior parte del resto si candidano in un solo Stato o sono palesemente candidature naïf , come Princess for President o Joe Exotic.
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Joe Exotic nella sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti dichiara di non voler cambiare il modo di vestire, di aver fatto del sesso bizzarro, di aver usato delle droghe e di avere una denuncia a suo carico (di cui ha già pagato la multa) in Florida.
Dati i pochissimi punti percentuali di stacco tra Clinton e Trump, negli ultimi giorni si sta assistendo su Facebook a un vero e proprio mercato dei voti, soprattutto tra i democratici e i verdi. Non è quello che da noi si chiama un voto di scambio (che è illegale anche negli Stati Uniti), ma si basa su un sistema di ripartizione dei collegi elettorali molto particolare, chiamato gerrymandering.
Il mercato dei voti è abbastanza semplice: verdi e libertari non hanno chance di eleggere un proprio candidato alla Casa Bianca, ma hanno un piccolo peso elettorale che può risultare vincente. Molti democratici che vivono in circoscrizioni in cui il Partito democratico vincerà sicuramente accettano di votare per i verdi o (meno spesso) per i libertari se questi nel loro collegio, meno sicuro per i democratici, voteranno Clinton. Come fanno a sapere che alcune persone voteranno per i verdi? E come fanno a essere così sicuri che il loro collegio andrà ai democratici?
Per rispondere alla prima domanda dobbiamo tornare alle liste degli elettori. Al momento dell’iscrizione, infatti, ogni elettore deve dichiarare per quale partito voterà. Agli occhi degli europei questo potrebbe apparire come una grave violazione della segretezza del voto. Tuttavia la dichiarazione, sul piano concreto, non comporta nulla: serve solo a dare diritto a votare nel caso le elezioni primarie fossero chiuse (ovvero riservate solo a chi si è dichiarato elettore di quel partito) e non aperte a tutti. Dichiarando il proprio partito di appartenenza, gli elettori non vengono iscritti al partito stesso né sono obbligati a rispettare la propria dichiarazione al momento di voto.
Spesso, nelle elezioni americane, si sa già a prescindere dal voto che in un determinato collegio vincerà un determinato partito. Per rispondere alla seconda domanda, quindi, dobbiamo entrare un po’ più nel tecnico. Nel 1812, il governatore del Massachussets, Elbridge Gerry, ridisegnò i confini di alcuni collegi elettorali dello stato in una maniera alquanto bizzarra. Uno in particolare aveva una forma talmente contorta da assomigliare a una salamandra. Da qui il nome: per gerrymandering (Gerry, come il governatore, -mander, dalle ultime lettere di salamander) si intende il ridisegnare i confini dei collegi in modo da aggregare il più possibile gli elettori favorevoli al proprio partito, cercando di mettere sempre in minoranza il partito avversario.
I democratici, per esempio, cercheranno di avere un collegio con molti quartieri o villaggi abitati prevalentemente da ispanici o persone di colore, mentre i repubblicani quelli con la più alta densità di bianchi protestanti. Il gerrymandering, che a volte assume forme veramente estreme, permette quindi in alcune zone di avere la certezza quasi assoluta di determinare chi vincerà le elezioni in quel collegio, anche prima del voto.
Uno degli esempi attuali di collegio elettorale (nello specifico per il Congresso) disegnato attraverso il gerrymandering: alle ultime elezioni (2012) i democratici vinsero col 75% di preferenze.
Chi vota il Presidente
In un sistema presidenziale come quello degli Stati Uniti gli elettori votano direttamente il presidente degli Stati Uniti. In realtà, l’elezione non è propriamente diretta. A nominare il presidente, infatti, è il Collegio elettorale degli Stati Uniti, formato da 538 delegati (chiamati grandi elettori), a loro volta votati direttamente dal corpo elettorale. La maggior parte degli Stati (con l’eccezione del Maine e del Nebraska) ha un sistema di voto chiamato winner takes all, ovvero chi ha la maggioranza si prende in blocco tutti i delegati dello Stato – per questo si parla di stati in bilico (Swing States) e non di delegati in bilico quando la maggioranza è ancora molto incerta nei sondaggi in un determinato stato.
Paradossalmente, però, pur prevedendo il winner takes all, i delegati non hanno vincolo di mandato e votano in maniera segreta. In sostanza, i super delegati non sono obbligati a votare per il candidato presidente per cui sono stati eletti, sebbene votino ognuno nella capitale del proprio stato e quindi sia facilmente individuabile chi tradisce la volontà popolare. Anche il sistema dei delegati risente delle condizioni in cui si è formata la Costituzione: un’epoca in cui le telecomunicazioni non esistevano e dunque era più logico delegare qualcuno a rappresentare il proprio voto.
Il numero dei Grandi elettori attribuito a ogni Stato dipende anche dalla sua popolazione. Stati più popolosi hanno più grandi elettori e anche i metodi per eleggere i delegati variano di Stato in Stato. In molti seggi si può votare elettronicamente, anche se si temono per queste elezioni grandi attacchi di cyberguerra. In altri si utilizza un sistema uguale a quello che abbiamo in Italia (scrivere su una scheda prestamapata). In altri ancora si utilizzano schede particolarmente complicate e che spesso confondono gli elettori, come le schede preforate o le famose schede a farfalla che resero contestata la vittoria di Bush in Florida nel 2000, uno degli stati che eleggono più elettori e che anche stavolta è uno Stato in bilico.
Una delle famose “schede butterfly”, che creano molta confusione tra gli elettori
Arriviamo quindi all’elezione vera e propria da parte del collegio dei grandi elettori. Per essere eletto, un presidente deve avere la maggioranza assoluta dei voti dei grandi elettori: oggi significa avere il voto di 270 delegati. Tuttavia il totale dei grandi elettori è 538, un numero pari: cosa succede nel caso in cui entrambi i candidati hanno esattamente la metà dei delegati? E cosa succede se nessuno dei delegati ha la maggioranza assoluta? In questi due casi entra in funzione il XII emendamento (finora è successo una sola volta, nel 1825). L’emendamento prevede che la Camera dei deputati si riunisca immediatamente per votare il presidente tra i tre candidati che hanno ottenuto più voti. Ogni deputato non rappresenta più il partito in cui è stato eletto, ma è riunito in un delegazione nazionale a seconda del proprio stato di origine. Ogni delegazione può esprimere solo un voto a favore di uno dei tre candidati, e così la Camera inizia a votare finché il candidato presidente ottiene almeno i voti favorevoli di 26 delegazioni (gli Stati Uniti sono composti da 50 stati federati).
Se invece, come accade quasi sempre, un candidato ha almeno 270 voti dei grandi elettori, la Camera dei deputati proclama il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, che entra effettivamente in carica alle ore 12:00 del 20 gennaio successivo alle elezioni.
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