Questo articolo è stato pubblicato da questo sito


[embedded content]
Un boss mafioso sul letto di morte scopre di avere un figlio di cui solo sospettava l’esistenza, i suoi scagnozzi sono incaricati di trovarlo e portarlo lì in Sicilia perché possa prendere in eredità il comando della grande famiglia.
Stacco.
In un paesino di montagna questo figlio è Leone, ovvero Herbert Ballerina, ovvero Luigi Luciano nel suo primo film da protagonista.
Tanto basta per far partire l’azione, poco più di un pretesto spiattellato in pochi minuti iniziali e una motivazione raccontata a parole, nulla di troppo sofisticato per un film che già nel suo spunto contiene la propria soluzione: Herbert Ballerina in mezzo alla mafia.
Come in una produzione Asylum Quel bravo ragazzo, diretto da Enrico Lando (lo stesso de I soliti idioti), cerca di metterci il meno possibile ad avviare un film che solo nel titolo ricalca Martin Scorsese mentre nella struttura è puro Benigni. La storia, infatti, è quella di uno scemo catapultato in Sicilia che entra a contatto con il crimine organizzato senza saperlo, messo a capo di una famiglia mafiosa crede di essere in una società a conduzione familiare, avrà a che fare con polizia e altri boss che, male interpretando le sue parole e in un trionfo di equivoci, lo crederanno in alcuni casi spietato in altri rivoluzionario.
Alla fine della storia tutto sarà cambiato (c’è anche la polizia di mezzo) ma lui comunque non avrà capito molto. Anche i doppi sensi del povero Herbert che capisce fischi per fiaschi ricordano quelli di Johnny Stecchino.
Eppure questa che pare nata per essere un’ennesima commedia italiana di rapidissimo consumo, scritta e girata senza andare troppo per il sottile, ha nel suo protagonista un’arma inaspettata.
Vista la sua storia professionale e il fatto che è la prima volta che compare da solo, inevitabilmente Quel bravo ragazzo è “il film di Herbert Ballerina”, anche se Luigi Luciano è solo cosceneggiatore mentre il regista è un altro. Come in una profezia autoavverantesi però Quel bravo ragazzo lo è diventato davvero il suo film, un one man show in cui si sonnecchia in tutte le scene tranne quelle animate da Herbert e dalla sua idiozia marginale.
In questa storiella tra le più usuali in assoluto, messa in scena con tutta l’ordinarietà che conosciamo dalle solite farse italiane, con tanto di effetti sonori cartooneschi e musiche ininfluenti da fiction, con una fotografia “chiara” che non fa scelte visive ma preferisce mostrare una pretesa di naturalismo, per finire con una serie di attori di contorno abbastanza noti, da Enrico Lo Verso a Tony Sperandeo, Herbert Ballerina è un’oasi di ristoro. Benché non sia così (vale la pena ripeterlo: Luigi Luciano ha collaborato alla sceneggiatura), sembra che lo stesso film sia manomesso da Herbert Ballerina che non segue il solito schema e le solite indicazioni ma con la cretineria sempliciotta che lo caratterizza va per conto suo, mentre intorno a lui tutto è conforme alle solite commedie italiane da poco, lui va controcorrente noncurante, confuso e felice.
Là dove molti cercano la strada della tenerezza per dar vita ad uno scemo comico accettabile, Herbert Ballerina porta con sé un’aura di marginalità, di lontananza da tutto, che è unica. Come se con ogni battuta volesse ricordare che il personaggio è cresciuto sui monti lontano da qualsiasi forma di civiltà. Nel suo essere scemo comicamente c’è un’incapacità a vivere molto maggiore del modello diretto di questo film, il Johnny Stecchino di Benigni, che non capiva niente ma era furbo e cercava di truffare lo stato, ma anche ambiva a corteggiare Nicoletta Braschi con molta più vitalità di quanto Herbert Ballerina non faccia con Daniela Virgilio. C’è nella sua ricerca di questa storiella d’amore con la sua poliziotta intenerita una rassegnazione che rende anche quei momenti, solitamente inutili nelle commedie un tanto al chilo, stranamente divertenti e assurdi.
Non che poi la storia di Leone, sempliciotto di montagna, chierichetto per Don Isidoro (un piccolo ruolo in cui compare Maccio Capatonda), non lesini in tenerezza, ma Herbert Ballerina sembra refrattario alla melassa anche quando ci è immerso fino al collo. Con un finale amaro poi il film si redime di tutti i suoi peccati di superficialità e si guadagna, davvero “nonostante tutto”, lo statuto di piccolo cult. Almeno per gli amanti dell’unico vero idiota del cinema italiano contemporaneo.
Leggi anche
Vuoi ricevere aggiornamenti su questo argomento?