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Quando si va al cinema a vedere un film appartenente a un ciclo o a una saga ci aspettiamo di entrare in una liturgia, scandita da alcuni punti fermi.
Uno dei capisaldi di tutti gli episodi di Star Wars è sicuramente rappresentato dai titoli di testa, quelli che iniziano con “In una galassia lontana, lontana…” e che, sopratutto, proseguono con l’iconico racconto che scorre e attraversa l’intero schermo per poi perdersi nello spazio, cioè questo
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Molti spettatori di Rogue One, lo spin off uscito la scorsa settimana e che racconta gli eventi tra il III e il IV episodio, saranno rimasti delusi di non aver visto l’introduzione a scorrimento, bensì un’apertura canonica come un qualsiasi altro film. La decisione – che vuole creare una discontinuità tra gli spin-off e i film veri e propri della saga – ha creato alcuni attriti all’interno dello staff del film prodotto da Disney e LucasFilm. In particolare, il più irretito è stato Dan Perri, creatore già dal 1977 di questo originale modo di aprire i film della saga stellare.
“Francamente lo trovo un errore enorme privare centinaia di milioni di fan di un’immagine iniziale così iconica. Non potevo immaginare che facessero una cosa così stupida” ha dichiarato fuori dai denti Perri, che ai tempi del primo Star Wars fu convocato in fretta e furia da Lucas per l’opening title, e trovò l’ispirazione nei titoli di testa di La via dei giganti del 1939 con Barbara Stanwyck, dove i titoli scorrevano su un binario ferroviario.
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Peraltro Dan Perri è stato uno dei più prolifici e geniali creatori di titoli di testa dei film: suoi infatti sono quelli de Il Maratoneta, Taxi Driver, Incontri Ravvicinati del terzo tipo, Nightmare, Toro scatenato e molti altri ancora.
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Da semplice materiale didascalico per notificare allo spettatore il cast tecnico del film che si appresta a vedere, i titoli di testa sono diventati sempre più elemento a sé stante, un vezzo pop o, nella migliore delle ipotesi, piccoli film d’animazione inseriti dentro ad altri film. Sicuramente un modo creativo per introdurre lo spettatore allo spettacolo, per sintetizzare il tema del film e il clima delle sequenze che seguiranno. Gli opening title hanno iniziato a prendere senso e vita propria negli anni ’60 grazie a personaggi i cui nomi sono sconosciuti ai più ma i cui segni sono ben impressi nella nostra memoria.
Il primo è stato Saul Bass, inventore di un design evoluto ed evocativo, capace di sintetizzare un film in pochi minuti con pochi elementi minimali: i diagrammi spiraliformi che evocano il senso di vertigine ne La donna che visse due volte di Hitchcock o le linee che spezzano il lettering dei titoli per poi ricomporlo che “raccontano” la scissione psicologica del protagonista di “Psycho” sono solo alcuni esempi. Un altro è Maurice Binder, inventore dei primi opening di 007, quelle del mirino, del manto rosso di sangue e delle sensuali silhouette femminili. Una vera apoteosi pop ben impressa nel nostro immaginario.
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Se negli anni ’80 i titoli di testa sono stati solo effetti speciali e poco contenuto creativo, nella seconda metà degli anni 90 nasce una nuova razza di title designers abili con l’animazione digitale in 3D, ma anche artigiani talentuosi che sono diventati delle vere e proprie star a Hollywood. Uno di questi è Kyle Cooper che ha realizzato capolavori come i titoli di testa di Se7en di David Fincher che evocano il panorama schizoide di un serial killer o quelli di SpiderMan per i quali passa un intero anno a scannerizzare vecchi albi dell’Uomo Ragno.
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Per capire la forza del personaggio basti pensare che lui è uno dei pochi a cui le major permettono di “sporcare” il loro logo per renderlo omogeneo al design dei titoli di testa; alcuni registi hanno rifiutato di lavorare con lui per non correre il rischio che la sequenza introduttiva cannibalizzi tutto il film.
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