mercoledì, Dicembre 4, 2024

Le sfide vinte e perse dalla scienza nel 2016

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Il 2016 è partito facendoci esultare con le onde gravitazionali e i successi dell’intelligenza artificiale, si conclude con l’amaro di un Nobel mancato per l’Italia, lo schianto di Schiaparelli e l’ombra di Trump sul futuro del clima. Un anno difficile anche per la scienza,  in cui obiettivi a portata di mano si sono rivelati più difficili di quanto pensassimo.

Una nuova astronomia
La grandissima sfida vinta nel 2016 è stata quella delle onde gravitazionali. Tecnicamente misurate a fine 2015, ma annunciate ufficialmente l’11 febbraio 2016, una data che rimarrà nei libri di storia della scienza. Non tanto perché confermino la teoria della relatività di Einstein: ma perché la misura diretta di queste onde ci rivela un cosmo finora sconosciuto. Finora l’astronomia era una scienza basata su una sola fonte di informazione: le onde elettromagnetiche, dalle onde radio alla luce visibile ai raggi gamma. Ora – grazie anche al contributo dell’Italia – possiamo osservare fenomeni nell’Universo, come la fusione di buchi neri, tramite un tipo di segnale completamente diverso.

È l’inizio di una nuova astronomia, che sta già trovando indizi di una fisica oltre la relatività. Ci sono già nuove osservazioni, e con la riapertura dei rivelatori Ligo e Virgo, l’astronomia gravitazionale può solo crescere. Fino al cielo: sempre nel 2016 la missione di prova Lisa Pathfinder ha mostrato che la misura di onde gravitazionali nello Spazio è possibile.

Make science (not) great again
Brutto clima in America? La vittoria di Donald Trump alle elezioni del 2016 è stata una grossa sfida persa per la ricerca e la cultura scientifica (nonchè forse perfino per la libertà di Internet). Come avevamo analizzato fin dai tempi delle primarie, e ricordato in seguito, Trump è un personaggio in sistematica rotta di collisione con la scienza. In prima linea tra i negazionisti del riscaldamento globale, si è scagliato contro le energie rinnovabili. E se The Donald ama stupire e contraddirsi (pochi giorni fa ha incontrato Al Gore, Nobel per il suo attivismo sul cambiamento climatico), le sue nomine parlano chiaro. I negazionisti del clima stanno arrivando nelle stanze del potere. Nel momento peggiore.

Le previsioni dei climatologi sono sempre più pessimiste, il 2016 sarà quasi certamente l’anno più caldo della storia (superando 2015 e 2014), abbiamo sfondato la soglia delle 400 parti per milione di CO2, e l’Artico mostra anomalie climatiche sconvolgenti, venti gradi sopra la media. È tutto tranne il momento di fare marcia indietro sull’accordo di Parigi, eppure è quanto vuole Trump.

Di più, i fondi per tutta la ricerca potrebbero subire tagli e modifiche senza precedenti. Il deputato repubblicano Tom Price, futuro leader del dipartimento Usa della salute, ha sistematicamente cercato di tagliare i fondi alla ricerca e si oppone al sia pur controverso Cancer Moonshot proposto da Obama. La presidenza Trump sta infine mettendo a rischio il precario equilibrio dell’educazione scientifica negli Stati Uniti, che con la scusa della libertà di istruzione privata mette a rischio l’insegnamento dell’evoluzione biologica.

Go, intelligenza artificiale, go!
Per una volta la sfida non èstata metaforica ma concreta. Si è combattutatra 9 e 15 marzo 2016. Il campo di battaglia? La tavola da go, antico gioco cinese tuttora popolarissimo in Asia, ultima spiaggia della supremazia umana in una sfida di intelligenza strategica. Gli sfidanti? AlphaGo, intelligenza artificiale firmata Google, contro il campione mondiale Lee Sedol. La vittoria? Contro ogni previsione, al computer. Finora i migliori programmi di go erano al livello di un buon dilettante. Gli algoritmi che hanno permesso ai computer di diventare campioni di scacchi falliscono infatti davanti alla superiore complessità strategica e sottigliezza del go. Google ha spezzato l’incantesimo con una strategia nuova, quella del deep learning e delle reti neurali. Una vittoria simbolica ma eccezionale, segno della nuova alba dell’intelligenza artificiale. In attesa di nuove sfide al tavolo da gioco.

Lo sterile Fertility Day
Il rapporto tra l’Italia e la scienza è sempre complicato, e il 2016 non fa eccezione. Virus e batteri, come sempre, ringraziano le bufale: se con i vaccini stiamo scendendo sotto le soglie di sicurezza, Xylella continua a fare strage di olivi pugliesi. Ma forse il momento-simbolo è stato il fiasco del Fertility Day. Dove non sono state protagoniste tanto bufale o pseudoscienze, quanto un catastrofico fallimento comunicativo a 360 gradi. A una informazione corretta sugli aspetti medici dell’infertilità e della sua prevenzione si sono preferiti confusi e discutibili richiami ideologici in contrasto con la sensibilità e la realtà contemporanea. Una storia che forse ha fatto emergere più di altre le difficoltà e impreparazione della cultura del nostro paese nel gestire il complessissimo rapporto tra politica, cittadini e temi scientifici.

Dall’esplorazione del Sistema solare a quella interstellare
Un successo pieno c’è: la sonda Juno, arrivata in orbita intorno a Giove, dove approfondirà la nostra conoscenza del gigante gassoso. Rivelando per la prima volta, per esempio, i complessi poli gioviani.

Letteralmente in frantumi invece, almeno in parte, la sfida di ExoMars e del lander Schiaparelli. Se il primo è entrato in orbita con successo (qui le prime immagini), quest’ultimo doveva rappresentare la testa di ponte della scienza spaziale europea sul suolo marziano. Invece si è schiantato al suolo, probabilmente per un difetto software (come se fosse la prima volta…) Situazione complicata anche sul fronte dell’astronautica privata: nel 2016 SpaceX e Blue Origin (la concorrente di Jeff Bezos) hanno entrambi riportato test di atterraggio con successo. Ma hanno dovuto anche fare i conti con disastri, come l’esplosione del razzo Falcon 9 a settembre.

Forse il 2016 è l’inizio dell’autunno per l’esplorazione del sistema solare: se alcune missioni, proseguono dopo aver completato con successo gli obiettivi chiave proseguono – come Dawn, Curiosity e New Horizons la maggior parte delle missioni storiche degli anni precedenti si sono concluse o stanno per concludersi. La leggendaria Rosetta, che tanto ci ha rivelato sulle comete e sulle origini del Sistema solare è finita come programmato, scontrandosi morbidamente con la cometa (Philae è stato ritrovato, ma non è più tornato a funzionare prima della fine della missione). Ci sono nuove missioni partite nel 2016, come Osiris-Rex, che nel 2023 dovrebbe portare sulla Terra un campione di un asteroide. Ma non ci sono in pentola esplorazioni storiche come New Horizons capaci di rivelarci per la prima volta il volto di mondi sconosciuti, o di investigare a fondo sistemi planetari come ha fatto Cassini.

Possiamo però sognare più in alto. Nel 2016 abbiamo trovato finalmente un pianeta (probabilmente) roccioso, con qualche speranza di essere abitabile, proprio intorno alla stella più vicina a noi. Una coincidenza fortunatissima e storica che ci regala un bersaglio concreto per piani di navigazione interstellare. Come il progetto Starshot, proposto proprio quest’anno da (tra gli altri) Mark Zuckerberg e Stephen Hawking.

Alzheimer, ancora nessuna cura.
La malattia di Alzheimer è una piaga destinata a espandersi: nel 2050 ci sarà un malato in una famiglia italiana su quattro. Ansie a cui il 2016 non ha voluto rispondere. Durante l’anno le speranze di molti erano riposte in due anticorpi sperimentali. Il primo era il solanezumab, sviluppato da Eli Lilly, che sembrava in grado di ridurre le cosiddette placche amiloidi, uno dei segni chiave della patologia. Alcuni dati facevano sospettare che, cosa più importante, potesse rallentare il decorso della malattia. Purtroppo poco tempo dopo arriva la doccia fredda dei test clinici di fase tre: nessuna differenza rispetto al placebo. La casa farmaceutica Biogen invece sta ancora testando l’anticorpo aducanumab, e per ora i risultati sembrano dare qualche speranza; così come altre molecole in sviluppo. Bene attendere prima di farsi illusioni.

La fisica? È ancora vecchia, per ora.
Una delle sfide più importanti della scienza contemporanea è la ricerca di una cosiddetta nuova fisica. Un dato, una scoperta che ci faccia passare oltre le colonne d’Ercole della fisica contemporanea: la meccanica quantistica e la relatività generale. Sappiamo che deve esserci qualcosa al di là di questi modelli, prima di tutto una teoria quantistica della gravità e una spiegazione della materia oscura. Ma cosa? Non lo sappiamo: nessun esperimento ha aperto uno squarcio. E il 2016 ci ha solo illuso. Lhc, che ha coronato la vecchia fisica con la scoperta del bosone di Higgs, ci aveva dato qualche speranza di una particella non prevista dal cosiddetto modello standard. Ma l’illusione si è infranta di fronte a ulteriori dati. Quest’anno sono comparsi nuovi indizi promettenti: una possibile nuova forza di natura, nascosta nei dati sui decadimenti radioattivi di un isotopo del berillio. E da pochissimo, sospetti di una violazione della relatività nei dati di Ligo. Nulla ancora di decisivo, però: la sfida si aggiorna all’anno prossimo.

Sempre più inafferrabile inoltre la materia oscura: il rivelatore Lux non ha trovato nulla. Dato non del tutto inutile, visto che permette di affinare ulteriormente i nostri modelli, ma certo un po’ deludente.

Un premio Nobel che l’Italia meritava
Infine, una brutta botta ce l’ha data l’accademia di Svezia. I premi Nobel per la chimica nel 2016 sono andati ai pionieri delle macchine molecolari. Ma per tre scienziati giustamente premiati – Fraser Stoddart, Jean-Pierre Sauvage e Ben Feringa, è rimasto sorprendentemente fuori l’italiano Vincenzo Balzani, professore emerito all’università di Bologna e tra gli autori del Wired in edicola. Uno dei chimici più citati al mondo e collaboratore fondamentale dei premiati Sauvage e Stoddart. Spesso suggerendo per primo le strutture dei motori molecolari che poi questi avrebbero sintetizzato. Balzani insomma era uno dei perni essenziali di questo quartetto di ricercatori, ma le regole del Nobel ammettono al massimo tre vincitori. Certo, se Balzani avesse vinto, sarebbe caduto uno degli altri. Questo significa che le regole del Nobel sono ormai anacronistiche, visto che la ricerca d’eccellenza dipende, sempre più spesso, da ampie collaborazioni.

L’episodio di Balzani però ricorda troppo da vicino un’altra esclusione sorprendente, quella di Nicola Cabibbo dal premio Nobel per la fisica 2008. In seguito all’esclusione di Balzani vari ricercatori italiani, in una lettera-appello, hanno fatto notare che è un segno di debolezza della ricerca di base italiana. I Nobel alla fine sono simboli, probabilmente sopravvalutati. Ma il sintomo che rappresentano rischia di essere fin troppo reale.

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