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Se hai più di trent’anni e quando hai una malattia ti immagini i globuli bianchi vestiti da poliziotti che lottano contro tizi col naso lungo e i capelli a punta, o pensi che nel tuo sangue ci siano degli omini rossi che portano sulle spalle una molecola di ossigeno, forse sei uno dei molti bambini cresciuti con “Siamo fatti così – esplorando il corpo umano”, cartone animato francese che proprio in questi giorni, 30 anni fa, iniziava le sue trasmissioni e che viene riproposto per l’occasione da Cartoonito.
A dire il vero, l’opera arrivò in Italia soltanto due anni dopo, nell’89, in perfetto orario per investire in pieno un bambino molto curioso e decisamente nerd come il sottoscritto. Va anche detto che io ero un caso limite, visto che fin da piccolo il mio Pantheon personale era costituito da Bud Spencer, Hulk Hogan, ma anche Piero Angela. Ovviamente collezionavo anche i volumi in edicola. Da qualche parte devo avere anche il modellino del corpo umano, del quale usavo lo scheletro come creatura evocata da Skeletor contro He-Man.
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Non vorrei peccare di iperboli, ma la verità è che buona parte delle mie basi scientifiche, e credo anche quelli di molti della mia età, si basino su “Siamo fatti di così”. All’epoca fu la prima volta in cui fui messo di fronte a concetti anche abbastanza complessi per un bambino di otto anni come la mitosi, i neuroni o anche la fine della vita.
Un imprinting forte, tanto che ancora oggi se qualcuno mi provoca o penso al concetto di “cervello del rettile” mi viene in mente lo sketch in cui il protagonista maschile viene preso in giro dai bulli e per qualche istante si trasforma in una specie di coccodrillo, se invece mi parli di memoria in testa mi compare l’immagine di un ragazzo che si punge con una rosa.
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Tra l’altro c’era anche una puntata dedicata alla vaccinazione, forse andrebbe fatta vedere a qualche laureato all’università della vita che oggi pascola su Facebook e annaspa nelle bufale.
“Siamo fatti così” era un cartone abbastanza diverso rispetto all’offerta media del periodo, aveva un intento prettamente didattico ma riusciva a raccontarti una storia senza annoiare troppo e giocandosela con pilastri del periodo come Kenshiro o I Cavalieri dello Zodiaco il cui intento formativo era diverso ma comunque presente (La dignità di Raul mentre muore o gli aulici scontri dei seguaci di Atena hanno comunque lasciato traccia di loro in un’intera generazione), oppure i Transformer e G.I. Joe, che proponevano sempre una morale abbastanza palese e stucchevole alla fine delle puntate.
Personalmente lo adoravo, ero affascinato dal nostro funzionamento, ma non so se per altri bambini di quel periodo ha funzionato allo stesso modo, anche perché ovviamente le regole non scritte della strada (o del parco giochi) prevedevano prese in giro di ore per il minimo segno di erudizione, cultura o passione nello studio.
All’epoca la piramide sociale vedeva in testa quelli bravi a calcio, seguiti da quelli bravi a Street Fighter e infine quelli con tanti giocattoli che ti invitavano a casa. Il sapere era dato da quante figurine degli Sgorbion avevi, non dalla tua conoscenza dell’apparato digerente e se dicevi “Osmosi” quando la maestra chiedeva una parola con la O eri marchiato come ne “La Lettera Scarlatta”.
Ovvio che rivedere ora le sue metafore visive ha senza dubbio un effetto comico. Per capirlo basta guardare la (coraggiosa) puntata dedicata alla nascita e alla riproduzione, che pur mostrando a sorpresa un nudo frontale della donna e dell’uomo poi ci regala il collo dell’utero che sembra il Capo di Buona Speranza e le terribile “Trappole delle tube di falloppio“.
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Questo cartone fa parte di un concetto che vede la televisione e i mezzi di espressione come qualcosa di più di semplici babysitter elettroniche, ma come occasione per legare intrattenimento e apprendimento. Ovviamente le cose devi saperle fare bene e credo che “Siamo fatti così”, pur nella sua semplicità, fosse il prodotto giusto al momento giusto, col tono giusto.
Non sono mai stato un grande sostenitore della televisione che deve a tutti i costi educare il suo pubblico, ma credo che trasmissioni come “Siamo fatti così”, se inserite nel giusto contesto, siano in grado di fare qualcosa di positivo per un cervello così ansioso di apprendere come quello dei bambini.
È chiaro che nessun bambino sarà mai stimolato da un cartone se i genitori non coltivano la sua curiosità e cercano solo un modo per farlo stare buono. Spero onestamente che in molti approfittino di questa occasione per recuperarlo e farlo vedere ai propri bambini, potrà sembrare datato, ma il suo valore formativo è ancora intatto.
D’altronde così diceva il suo creatore, Albert Barillè, un vero pioniere dei cartoni didattici: “Fate in modo che i nostri bambini vogliano sapere, suscitate la loro curiosità. Inoltre trattateli come persone con la loro propria ragione, che capiscono molto di più di quanto gli adulti vorrebbero farci credere. Essi saranno più forti per questo e ti saranno riconoscenti”.
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