giovedì, Novembre 14, 2024

Intervista a Giulio Cesare Ricci, l’uomo del vinile in Italia

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Il mercato del vinile, dal 2007 a oggi, ha avuto una crescita rilevante che ne ha segnato il ritorno a tutti gli effetti nella malandata industria discografica italiana, tanto che nel 2016 è ritornata addirittura una classifica delle vendite della PIMI dedicata al supporto vinilico.

A novembre 2015 il vinile si assestava intorno al 4% del mercato discografico italiano, con un aumento delle vendite rispetto all’anno precedente pari al 74%. Al giro di boa del 2016, nella classifica dei vinili più venduti in Italia, risultava in testa l’ultimo album di David Bowie, Blackstar, che probabilmente, anche a conti fatti di fine anno, potrebbe mantenere sempre il suo primato. Di tutto questo grande mercato ne rimane però fuori l’usato che, tra fiere ed eventi, ha una certa rilevanza che non è facile quantificare.

Un altro dato importante è la notizia recente arrivata dalla Gran Bretagna, dove la vendita di questo formato ha superato le vendite digitali (2,5 milioni di sterline a fronte di 2,1 milioni) sui quali però pesa il mercato dello streaming che sta via via mangiando l’acquisto digitale.

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Abbiamo provato a chiedere a chi col vinile di alta qualità ci lavora da anni come si può continuare a portare avanti questo impegno qualitativo e come può essere il futuro di questo mercato. 


Giulio Cesare Ricci è un personaggio fuori dal tempo. Quando si parla con lui si ha la netta sensazione di rapportarsi con un vero e proprio artigiano dedito al suo lavoro e non incline ai compromessi.

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Il suo ideale consiglio direttivo è composto dal pubblico e da tutti gli appassionati che incontra durante i vari Gran Galà dell’Alta Fedeltà organizzati da lui stesso. Ci siamo fatti raccontare come, in un momento in cui l’avvento del compact disc stava diventando sempre più forte, decise di aprire un’etichetta musicale che si occupasse di tutto il processo produttivo di un disco in vinile
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Come nasce l’idea di fondare la Fonè?
“


Io da bambino, a 10 anni, invece di dire che volevo fare l’astronauta o il pompiere, dicevo che che volevo fare i dischi. Ero proprio convinto. A quell’età ascoltavo molta musica classica come Dmitrij Šostakovič, Rossini o Paganini, poi crescendo sono passato ad ascoltare tutti gli altri generi musicali. Amavo molto sia la musica, che la tecnologia“.

Quando ha iniziato esattamente?
“Ho creato Foné quando avevo 22 anni. Mi sono autofinanziato perché non volevo aiuti da nessuno. In quegli anni giocavo a tennis in serie B e insegnavo: i primi soldi per comprare un registratore a nastro e i primi microfoni sono arrivati dal lavoro nel mondo del tennis. L’altra parte del finanziamento, invece, arrivava dalla vendita ai miei compagni di università delle dispense che trascrivevo dalle prime lezioni che registravo”.

Che approccio ha utilizzato?

C’era l’amore per la musica e per i luoghi. Per me la musica doveva essere suonata e quindi registrata non negli studi di registrazione insonorizzati e asettici, ma in luoghi naturali: teatri storici, chiese antiche, castelli e cantine. Sempre luoghi con un’acustica naturale”.

Che rapporto e che influenza ha avuto la tecnologia sull’inizio di questa avventura?
“È stata molto importante perché il mio sogno era fare dei vinili che fossero qualitativamente molto simili ai vinili che io avevo nel cuore. I miei riferimenti erano quelli che fin da bambino mi ero comprato e che ascoltavo. Dal 1968 in poi ascoltavo dischi registrati negli anni ’60 con tecnologie naturali. I microfoni che io uso sono gli stessi che si usavano all’epoca, e quindi sono stato educato a questo suono. Ho avuto molto rispetto per la tecnologia e l’ho approfondita durante gli anni. Allo stesso tempo ero rispettoso e affascinato da quella analogica degli anni ’50, ’60 e dei primi anni ’70. La mia battaglia è stata, in tutta la mia vita, di raccogliere questi macchinari, restaurarli e usarli. Uso macchine analogiche che usavano i Rolling Stones negli anni ’70, uso le macchine analogiche che i Beatles utilizzarono nei primi due lavori registrati a Abbey Road: registratori a nastro con valvole degli anni ’50. E poi i microfoni Neumann (mod. U47, U48 e M49), antichi microfoni a valvole anch’essi utilizzati dai Beatles. Negli anni li ho anche ottimizzati e cercato di rendere tutto più attuale nel tempo; ho progettato e realizzato dei sistemi di alimentazione e preamplificazione per cercare di valorizzare questa cultura analogica”.

(Foto credit: Foné)(Foto credit: Foné)


Tutti i progetti discografici sono stati registrati da voi?
“

Il 99% delle produzioni sono mie. Fino ad oggi ho realizzato più di 800 progetti discografici: tutti seguiti da me, decisi con gli artisti, incisi in prima persona e lavorati. Solo da 9 anni circa ho deciso di prestarmi su progetti di grandi artisti italiani non realizzati da me. Progetti artistici molto belli ma che da un punto di vista tecnico avevano dei dischi un po’ troppo normali. Abbiamo iniziato con Renzo Arbore, Paolo Conte, Ornella Vanoni, Pino Daniele, Stefano Bollani e recentemente con Vasco Rossi. In quei casi ho lavorato dei master che non avevo fatto io e li ho lavorati per rendere giustizia al suono. Dal 1983 a oggi, lo realizzo in prima persona, soprattutto musica classica e jazz”.


Recentemente c’è stata una ristampa in vinile dei primi cinque dischi di Vasco Rossi (Vado al massimoBollicineVa bene, va bene cosìCosa succede in città e c’è chi dice no). Come è nata questa idea e come è si è sviluppato questo processo?
“Ascoltando i dischi di Vasco Rossi ero molto dispiaciuto che fossero di qualità normale. Parto sempre da un presupposto: quando la musica è bella va ascoltata bene con ogni sistema, anche con un piccolo impianto. Il disco deve avere energia, ricchezza timbrica, qualità; se invece il disco è opaco e fiacco di suo, si parte male. Volevo realizzare un tributo a questo grande artista italiano, oltre a ritenerlo un grande comunicatore. Ho scelto questi cinque album che erano anche i miei preferiti della sua discografia”.

Come lo ha rilavorato?
“Fortunatamente la Carosello records, che deteneva i diritti degli album, è stata molto disponibile. Mi sono fatto dare i master originali e li ho rilavorati secondo quelli che sono i miei criteri. Non uso equalizzatori, espansori, compressori. Io al mio suono cerco di ridare energia timbrica e spessore sonoro utilizzando specifici stadi di pre amplificazione e lavorazione del suono in maniera molto naturale. Cerco di dare aria attorno agli strumenti, il colore del suono che spesso viene opacizzato dall’uso di altri sistemi. È un po’ come usare la panna in cucina: se si hanno degli ingredienti di qualità e c’è una buona ricetta, la panna non serve a nulla e anzi rende tutto troppo omogeneo”.

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Come è avvenuta la creazione dei nuovi master?
“Ho rifatto un nuovo master analogico con un registratore a nastro Ampex ATR 102, con nastri da 1/2 pollice, 2 tracce che viaggiano alla velocità di 76 cm al secondo utilizzata dai Rolling Stones dagli anni ’70 in poi per la realizzazione dei loro album. Con questi nastri ho tagliato personalmente la lacca per fare i vinili. Il trasferimento del suono dal master alla matrice è un passaggio fondamentale”.

(Foto credit: Fonè)Sfoglia gallery12 immagini

Registratore analogico Ampex ATR 102 (Foto credit: Fonè)

Registratore analogico Ampex ATR 102
Registratore analogico Ampex ATR 102 (Foto credit: Fonè)Registratore analogico Ampex ATR102
Registratore analogico Ampex ATR102 (Foto credit: Fonè)Registratore analogico Studer J37
Registratore analogico Studer J37 (Foto credit: Fonè)Registratore analogico Studer J37
Registratore analogico Studer J37 (Foto credit: Fonè)Digital PCM Sony F1 Ampex ATR 102
Digital PCM Sony F1 Ampex ATR 102 (Foto credit: Fonè)Giradischi Micro Seiki 1000
Giradischi Micro Seiki 1000 (Foto credit: Fonè)Giradischi Micro Seiki 1000
Giradischi Micro Seiki 1000 (Foto credit: Fonè)Registratore analogico Nagra 4s
Registratore analogico Nagra 4s (Foto credit: Fonè)Registratore analogico Nagra 4s
Registratore analogico Nagra 4s (Foto credit: Fonè)Microfoni Neumann U47
Microfoni Neumann U47 (Foto credit: Fonè)

C’è stato qualcuno o qualcosa che ti ha aiutato in questo tuo studio approfondito?
“Quest’ultimo passaggio è un argomento che ho approfondito tutta la vita, grazie anche all’amicizia e alla collaborazione in particolare di un grande ingegnere anglo-americano che è deceduto alcuni anni fa che si chiamava David Manley. Siamo stati molto amici per vent’anni e sto utilizzando da quindici anni il suo tornio di lavorazione che era in America, per fare queste matrici speciali. Naturalmente da analogico“.

E oggi avviene sempre da analogico questo passaggio?
“Il malvezzo di oggi è che la maggior parte dei vinili attuali sono stati generati da master digitale. Questa è una cosa ignobile da un punto di vista morale, etico e qualitativo. I nostri nonni hanno inventato il vinile partendo da un registrazione a nastro, facendo un taglio di lacca, facendo un processo galvanico per stamparlo. Se uno fa la matrice dal master digitale, allora è meglio che si metta a fare i cd e lasci perdere. E poi si sente che non è analogico.



 Nel 1982 le grandi aziende avevano fatto il funerale al vinile, ora si sono riscoperte amanti del vinile esclusivamente per ragioni commerciali. Il vinile però è una cosa seria ed è molto difficile da far bene“.

Ma il metodo Signoricci Vinyl in cosa consiste?
“Non entro nel merito specifico di scelte che sono legate a parti riservate del mio lavoro, però alla base di sicuro non c’è l’uso di riverberi, equalizzatori e compressori. Quello che c’è è la costruzione di un suite analogica dove io devo leggere i master originale in maniera perfetta per trasferirlo in un nuovo master. Le particolarità a cui sto attento sono gli stadi di alimentazione, i cavi, i sistemi di pre amplificazione, il condizionamento della corrente, l’eliminazione delle negatività che ci sono nella registrazione. C’è un elemento che a me interessa molto: io faccio un trattamento per togliere l’elettromagnetismo, cioè la negatività che influisce su di un master. Sono aspetti importanti per tutti i tipi di lavorazione, sia analogica che digitale”.

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Con Vasco però non ha solo lavorato al vinile. Ci sono anche dei super audio cd.
“Ho pensato che sarebbe stato bello fare anche dei super audio cd, che sono dei cd speciali compatibili in tutti i lettori. Ci tenevo che anche il pubblico di Vasco che non ha il giradischi potesse ascoltare questa mia interpretazione del suo suono in questi cinque album. Ho riversato i master analogici che ho fatto io per il vinile in dsd (qualità 64 volte superiore al cd) per realizzare anche la versione super audio cd dei cinque album”.

Il super audio cd è un formato di nicchia?
“È partita come una cosa di nicchia. Quando nel 1999 nacque questo formato, la Philips Olanda mi scelse come testimonial dal 1999 al 2006, ed è stata un’esperienza straordinaria. Ho avuto l’opportunità di rapportarmi con gli scienziati della Philips e utilizzando i loro sistemi ad alta risoluzione che continuo a usare anche oggi. Io faccio sempre un doppio master, uno analogico per il vinile e uno digitale per i super audio cd. Partendo ad una risoluzione molto alta, se poi si riduce la risoluzione, una parte di questa ricchezza sonora mi rimane. Se la qualità di partenza è già bassa, allora la riduzione mi impoverisce drasticamente il suono”.

Come sono stati i primi vent’anni di Fonè in cui il vinile era in grande calo dopo la nascita del compact disc?
“Quando la Fonè è nata è nato il cd. Io invece di fare il cd ho fatto il vinile. Tant’è vero che la Sanyo, dal Giappone, dopo aver ascoltato i miei dischi, mi disse che se avessi fatto il cd mi avrebbero anche aiutato sul piano tecnologico. Ma all’epoca rifiutai. Solo dopo ho deciso e perfezionato la registrazione in digitale perché nei primi anni della loro vita il vero problema del cd era la qualità imbarazzante. Aldilà della pubblicità che diceva che era la cosa più perfetta di questa mondo: il suono era molto tagliente, asettico e troppo digitale. L’emozione è analogica, non digitale“.

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Negli ultimi anni si è parlato molto di questa crescita esponenziale della vendita dei dischi in vinile. Cosa ne pensa?
“Da una parte c’è una grande contentezza per questo rinascimento culturale. Quello che mi ha preoccupato da subito è che sicuramente tanto prodotto che è realizzato oggi in vinile è mediocre e questo non va bene. Perché se le persone ascoltano questi prodotti e sono deluse, questo è a discapito del concetto di vinile e dei produttori che nel mondo lo realizzano di alta qualità. Io in Italia non ho mai stampato, sempre in Germania e in Giappone. In Germania ho anche istruito un piccola linea di produzione perché in Italia l’impostazione è sempre stata quella di fare un prodotto normale e non un prodotto speciale”.



Si utilizzano macchinari di circa 50 anni fa ma la richiesta è aumentata molto e si fa anche fatica a stare dietro a questa produzione.
“Sui numeri starei un po’ tranquillo perché il rinascimento del vinile è legato ad un fascia di pubblico d’élite. Fare un vinile fatto bene ha dei costi molto alti. Il pubblico, in generale, è abituato ad un prezzo più basso. Alla fine i vinili che vengono prodotti in fretta e furia in maniera normale sono fatti così perché devono avere un prezzo più basso, però fare un prodotto normale ad un prezzo più basso non ha senso perché si ritorna alla considerazione che facevo prima. Se il suono è opaco allora il cd suona meglio. Che valore ha quel vinile? Zero. Se scricchiola è perché non hanno utilizzato la pasta vergine ma materiale riciclato e la qualità di conseguenza si abbasserà. Se invece è bello silenzioso, dinamico, ricco e con un suono emozionante, allora è un’altra esperienza. Sicuramente c’è molto interesse, e speriamo che il prodotto normale non sporchi questo rinascimento”.

Qualche tempo fa era stato annunciato che la catena di supermercati Lidl avrebbe iniziato a vendere dei giradischi molto economici. Questo può essere un modo per cercare di entrare più facilmente nelle case di un pubblico ancora timido?
“Devo dire che a parità, il giradischi da 60euro (circa) della Lidl suona sicuramente peggio del giradischi che avevo io a 10 anni. C’è da dire una cosa però: se si ascolta un vinile di alta qualità su un giradischi del genere non è male ed è certamente molto meglio di un mp3 in cuffietta. Questa può essere una molla per attivare una curiosità nel cliente. Io mi auguro che questo mondo vinilico non venga sciupato”.

(Foto credit: Ion Audio)(Foto credit: Ion Audio)


Ci sono dei dettagli che un appassionato dovrebbe sempre tenere a mente per capire la qualità di un vinile?

“Quando esce un disco nuovo, la prima cosa che dicono è 180gr. È una grammatura che io 33 anni fa posi alla miglior azienda dell’epoca, la Teldec situata a cento chilometri da Amburgo. Come prima cosa il vinile deve essere puro, perché spesso vengono utilizzati avanzi della lavorazione rifusi assieme. 180 gr., ma di purezza. Quando io faccio le matrici, i solchi li faccio più grandi che posso. Se sono larghi, sono anche profondi e se li voglio profondi necessiterò di sostanza e di spessore perché c’è un alto a e un lato b. Se ho un disco sottile, invece, i solchi li faccio meno profondi. Ma se i solchi non si fanno profondi, avere 180 gr. di vinile non serve a nulla. Si vive in un mondo dove quello che conta è uno slogan”.

E poi c’è anche un incremento dei vinili a pasta colorata.
“Le paste colorate sono deleterie: per colorare il vinile si usano degli acidi per trattarla che non è la ricetta originale. La componente vinilica deve essere nera e se viene trattata e colorata cambia caratteristica e quindi il suono cambia. Naturalmente parlo in termini qualitativi. Ognuno poi è libero di collezionarli”.

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