mercoledì, Giugno 25, 2025

Se 8 persone sono ricche quanto mezzo mondo

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oxfamOxfam definisce la situazione come “oscena”. Il termine appare ideale, visti i risultati dell’ultimo rapporto sulle disuguaglianze Un’economia per il 99%. I numeri che stanno monopolizzando i titoli di queste ore sono quelli che girano intorno ai pochissimi ricchi e ai tantissimi poveri. Ad esempio, il dato per cui 8 persone 8 detengano tanta ricchezza quanto il 50% della popolazione mondiale, circa 3,6 miliardi di individui. Oppure, venendo all’Italia, quelli per cui i primi 7 miliardari italiani possiedono quanto il 30% dei più poveri. E giù con tutto l’armamentario retorico, che a volte sfiora troppo i toni del costume, dei “paperoni” mondiali.

A quanto pare, la dinamica non sembra voler cambiare direzione. La drammatica forchetta fra ricchi e poveri continua infatti a crescere negli anni. Curioso il caso di Bill Gates: il fondatore di Microsoft fa di tutto per sbarazzarsi dei suoi quattrini ma ciononostante non riesce ad alleggerirsi del dorato fardello. Il suo guadagno di 25 miliardi accumulato dal 2006, quando ha annunciato di voler abbandonare la sua creatura, dà l’idea di un sistema che viaggia ormai col pilota automatico. Neanche un filantropo di professione riesce a invertire il meccanismo di un capitalismo impazzito. Ma quel pilota potrebbe condurlo a schiantarsi su una montagna inaspettata: la fine della pacificazione internazionale.

In Italia, per esempio, il 20% più ricco ha in tasca il 69% abbondante della ricchezza e un altro 20% ne controlla il 17,6%. Da questo si deduce che il restante 60% della popolazione deve spartirsi il 13,3% della ricchezza. A proposito, volete sapere chi siano gli otto multimiliardari? Lo stesso Gates insieme ad Amancio Ortega, Warren Buffett, Carlos Slim Helu, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Michael Bloomberg. Insieme fanno, a spanne, 426 miliardi di dollari secondo i numeri forniti da Forbes.

Ci sono il fondatore di Microsoft, quello di Amazon, quello di Facebook, quello di Oracle. Quattro colossi del web e del software. Poi un paio di personalità legate alle telecomunicazioni e al giornalismo, Bloomberg e Slim Helu – che certo non si limitano a quegli ambiti – un finanziere e Ortega, l’imprenditore che con Zara ha ribaltato le regole su come ci si deve vestire nel mondo. Sei profili su otto sono legati all’universo della comunicazione, di internet, dei media. Qualcosa, come una quantità di esperti va raccontando da tempo, vorrà pur dire se per giunta Oxfam avvisa che i numeri rilasciati in passato sarebbero da rivedere al rialzo.

Questi otto nomi raccontano meglio di qualsiasi altra indagine lo scollamento fra produttività e occupazione a cui assistiamo da anni. E il grande tema, gigantesco, della necessaria redistribuzione della ricchezza anche attraverso un reddito minimo universale, che di controindicazioni ne sfoggia però moltissime. Una situazione verificatasi anzitutto nel mondo digitale – dove la stragrande maggioranza delle incombenze è automatizzata – ma che sta per investire tutti gli altri settori.

Mentre i potenti del mondo si riuniscono a Davos, in Svizzera, un altro rapporto – stavolta firmato McKinsey – spiega come i posti di lavoro a rischio a causa della robotizzazione e dell’automazione sfiorino il 50%. Non si sa in che tempi ci si arriverà, questo l’unico dubbio, ma ci si arriverà.

Perfino l’ex premier Matteo Renzi, cantore della digitalizzazione a ogni costo – sacrosanta, in un Paese arretrato e iperburocratizzato come l’Italia – ha fatto mea culpa nell’intervista di ieri a Repubblica: “Quanto all’innovazione, è indispensabile per non finire ai margini, ma ne ho parlato in termini troppo entusiastici, bisogna pensare anche ai posti di lavoro che fa saltare. Insomma, c’è un gran da fare per la sinistra”.

In realtà c’è un gran da fare per tutti. Anzitutto per chi, adesso, mangia triple portate. Perché quello che abbiamo di fronte è un panorama disperante. Oltre alle difficoltà nei singoli Paesi questi squilibri alimenteranno in modo sempre più intenso la spirale delle migrazioni. La quale, a sua volta, aprirà la strada in Europa e negli Stati Uniti a populismi perfino peggiori rispetto a quelli con cui abbiamo a che fare in questo momento.

Le pseudosoluzioni che Le Pen, Trump, Orban e Salvini raccontano – nell’inettitudine delle sinistre – difficilmente cambieranno le cose in meglio. Partoriranno però eredi ancora più oscuri e produrranno i presupposti per la nascita di inedite tensioni internazionali di cui al momento abbiamo visto solo i vagiti. Ma che non potranno non mettere a rischio quel massacrante sistema che le ha generate.

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