Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
Un bugiardo al quale si chiede la massima sincerità. Così Vittorio Gassman definiva il mestiere dell’attore. Agli interrogativi millenari su chi sia e cosa debba fare, in sostanza, un attore hanno dato una risposta concreta i vincitori dei Golden Globes di quest’anno. Da più parti si legge, come motivazione del trionfo della coppia Emma Stone e Ryan Gosling, che si tratta di due attori “completi”. Basta dare una rapida occhiata al curriculum della Stone per verificare: recita sin da bambina – proprio come Gosling – ha iniziato con il teatro e i musical, imparando da subito non solo ad essere credibile sulla scena ma a cantare, ballare, convincere intere platee con qualcosa di più che il suo semplice (e notevole) sguardo.
Debutta a 11 anni nel musical The Wind in the Willows a cui seguono una serie di musical (da A Winnie-the-Pooh Christmas Tail a Cenerentola, da Titanic a Alice nel paese delle meraviglie), finché a 15 anni non implora sua madre per trasferirsi a Los Angeles, dove si fa le ossa nelle serie tv (da The New Partridge Family a Drive). L’esordio al cinema risale a 10 anni fa (Suxbad – Tre menti sopra il pelo), prima ha avuto tutto il tempo di seguire un solido percorso di formazione teatrale.
Anche gli attori italiani che escono da accademie, centri, seminari di recitazione seri (tre tra i più noti: l’Accademia Silvio d’Amico, il Centro Sperimentale di Cinematografia, la Scuola Volontè) apprendono arti e discipline come la danza, il canto, il mimo. È però tendenza tutta italiana considerarle complementari e accessorie rispetto a quella recitativa. Necessarie giusto a chi ambisce ai musical, genere fondamentalmente relegato a teatro, ad eccezione di una fortunata incursione televisiva (Tutti pazzi per amore).
Premessa di onestà: diversi attori italiani effettivamente non sanno cantare, non vedono la necessità di saper ballare, e a parte un ottimo primo piano hanno da offrire ben poco. Non tutti: ci sono, soprattutto tra le nuove leve, talenti enormi e versatili, capaci di incantare a teatro come sul grande schermo. La differenza, in sostanza, sta nelle occasioni per poterlo dimostrare.
Emma Stone, come Jennifer Lawrence, a neanche 30 anni si ritrova nella condizione di potersi costantemente sfidare e superare. E così i vari Leonardo DiCaprio, Ryan Gosling, Edward Norton, Hugh Jackman. Ruolo dopo ruolo, sono messi nella condizione di poter sperimentare, diversificare, costruirsi una carriera solida, multiforme, fatta di azione, sentimento, commedia, horror, dramma, balli, canti, emozioni.
Questione di industria? Sì. Quella hollywoodiana nasce e resta inarrestabile, crea insieme sogni e denaro producendo film di generi e stili diversi. Quando sembra appiattirsi su antichi successi e generi da botteghino facile, sforna un musical emotivo alla La La Land vibrante di vita, e rimescola le carte, e si rinnova.
Un sistema che dà continuamente modo agli attori di crescere, di mettersi alla prova, di dimostrare. Un sistema che scommette anche produttivamente su di loro, che non li sceglie sempre per gli stessi ruoli e che, soprattutto, ogni anno scopre e lancia nel mondo nuovi talenti. Tre ottime “abitudini” che il cinema italiano sembra aver dimenticato, e che sarebbe ora di recuperare.
The post Gli attori italiani e la lezione dei Golden Globes appeared first on Wired.