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(foto: SAEED KHAN/AFP/Getty Images)
Donne relegate in cucina, sopportate e compatite dai mariti, utili solo a cucinare e badare alla casa: giusto qualche decennio fa immagini come quella qui sotto erano considerate perfettamente accettabili. E anche se oggi l’emancipazione femminile ha fatto passi da gigante, l’immagine che media e pubblicità offrono delle donne continua a rappresentare un problema. Svestite, sexy, sempre perfette e ammiccanti, immagini che tendono a oggettivare la donna, veicolando l’idea che il ruolo del genere femminile sia quella di divenire oggetto delle attenzioni maschili, e promuovendo modelli fisici irrealistici e un’attenzione ossessiva per la bellezza. Può sembrare un semplice vizio dei tempi, ma la psicologia oggi ci dice che è un modello culturale che ha effetti concreti sulla salute femminile, aumentando il rischio di soffrire di disturbi alimentari, bassa autostima, depressione e disturbi della sfera affettiva. Ma non solo, perché l’esperienza dell’oggettivazione sessuale può anche diminuire le risorse cognitive e la capacità di prestare attenzione, come dimostra un recente studio dell’università di Padova.
La ricerca, pubblicata sul British Journal of Social Psychology, ha analizzato in particolare l’effetto di quello che viene definito male gaze, cioè dello sguardo maschile (spesso indiscreto), come stimolo che innesca un’esperienza di oggettivazione sessuale. Nell’esperimento, 107 volontarie sono state sottoposte a un Sustained Attention to Response Task, un test sviluppato per valutare la capacità cognitive di attenzione. Prima di sottoporsi al test, a metà delle partecipanti è stato chiesto, con un pretesto, di farsi fotografare da un ricercatore di sesso maschile, che le ha immortalate di fronte e di spalle.
Passando poi al test cognitivo, le ragazze a cui erano state scattate le foto da uno sperimentatore di sesso maschile hanno ottenuto risultati inferiori rispetto a quelle del gruppo di controllo, che erano state fotografate da una sperimentatrice. E secondo le ricercatrici, il calo di prestazioni sarebbe legato proprio al male gaze, un’esperienza che sposta l’attenzione delle donne sul proprio corpo impegnando risorse cognitive.
“Il nostro studio dimostra che in una simile situazione viene compromesso quello che in inglese viene definito flow, cioè la capacità di immersione totale nel compito che si deve affrontare”, spiega Mara Cadinu, professoressa di psicologia sociale dell’università di Padova che ha realizzato la ricerca la ricerca in collaborazione con la ricercatrice Francesca Guizzo. “E si tratta di un fenomeno che si incontra spesso anche nella vita reale: immaginiamo quante volte una donna si trova a lavorare, a sostenere un colloquio o un’interrogazione, sotto un insistente sguardo maschile. E per soggetti particolarmente vulnerabili, sempre più comuni in una società in cui la donna viene presentata come oggetto sessuale, può rappresentare un autentico problema”.
Come va affrontato il problema? Una seconda ricerca del gruppo coordinato da Cadinu sembra indicare una strategia. Lo studio, pubblicato in questo caso sulla rivista Sex Roles, ha analizzato l’efficacia delle campagne di sensibilizzazione sul tema dell’oggettivazione sessuale femminile. Anche in questo caso le ricercatrici hanno ideato un esperimento. 78 volontari di sesso maschile e 81 di sesso femminile sono stati divisi in tre gruppi, e hanno poi visionato tre differenti filmati: un estratto dal documentario Il corpo delle donne della scrittrice e attivista Lorella Zanardo, in cui l’autrice commenta immagini tratte da programmi televisivi italiani sottolineandone l’inappropriatezza; lo stesso estratto ma privo del commento audio, sostituito da una canzone pop; un documentario naturalistico (utilizzato come controllo).
Al termine del video, i ricercatori hanno quindi valutato quale fossero le opinioni dei partecipanti. I risultati hanno dimostrato che le donne del gruppo che ha visionato l’estratto da Il corpo delle donne con il commento dell’autrice si sono dimostrate maggiormente intenzionate a intervenire di persona, impegnandosi in campagne di protesta e manifestazioni. Le iniziative di sensibilizzazione sarebbero dunque in grado di promuovere l’attivismo sociale nel campo dell’oggettivazione sessuale. Ma sono nel genere femminile: nell’esperimento infatti gli uomini sono risultati del tutto insensibili di fronte a tutti e tre i video.
“Quello che ipotizziamo è che il materiale non fosse adatto per sensibilizzare gli uomini”, chiarisce Cadinu. “Le immagini e il commento fanno probabilmente sembrare lo fanno sembrare un problema che non li riguarda, e per questo stiamo cercando di studiare materiale ad hoc. La cosa importante è far capire che non si tratta di un fenomeno di interesse unicamente femminile, è un problema per l’intera società. A maggior ragione oggi, visto che sempre più spesso l’oggettivazione sessuale inizia a riguardare anche il corpo maschile. Invece di migliorare la società in cui viviamo, stiamo oggettivando anche l’uomo”.
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