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Si è riaperta in questi giorni, con la presentazione del nuovo piano di conservazione del governo, la polemica sgualcita sull’eventualità di una riapertura della caccia al lupo. Possibilità meno che remota, eppure già impugnata dalle associazione ambientaliste e cavalcata a occhi bendati. Prima osservazione sulla totale irrazionalità emotiva della protesta: perché nessuno mai lamenta l’uccisione, che ne so, degli istrici, o di altri animali protetti per i quali è ammessa la caccia selettiva?
In una nota congiunta, LNDC, Enpa, Lac, Lav, Legambiente e Lipu spiegano che “Il nuovo piano, proprio perché concepito allo scopo di migliorare la convivenza tra gli interessi umani e le popolazioni di lupo, non può prevedere il consueto, inefficace, antiquato ricorso al metodo venatorio, ancor di più perché eticamente inaccettabile”. La loro posizione è di principio: il lupo non si tocca, non è etico! Ma si scontrano con la realtà.
In generale, gli animalisti dimenticano che, quando si parla di convivenza, è imprenscindibile considerare uno dei due elementi in gioco: l’uomo.
L’ultima regione a lamentare perdite inaccettabili di bestiame per colpa dei lupi è l’Emilia Romagna. Come altri casi hanno già ampiamente dimostrato – vedi la Francia – l’introduzione e la protezione di grossi predatori selvatici come l’orso o il lupo andrà vanificata se gli allevatori o in generale le popolazioni locali non hanno fiducia e sicurezza. In caso contrario semplicemente elimineranno il problema senza aspettare un intervento delle istituzioni, e non lo faranno in modo selettivo.
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Dato per certo che la popolazione di lupi italiani è molto cresciuta negli ultimi decenni, anche se i numeri precisi non si conoscono, è piuttosto auspicabile quindi – se si desidera veramente che il lupo rimanga un animale libero e protetto nel nostro Paese – che si faccia qualcosa per garantire una caccia selettiva. Cosa che per adesso è impossibile avvenga (sebbene, come detto, sarebbe auspicabile).
“La battaglia di informazioni in gioco è totalmente falsa e messa in giro con un approccio totalmente demagogico da parte delle associazioni coinvolte”, mi spiega Luigi Boitani, etologo e zoologo esperto di conservazione dei lupi all’Univesità di Roma. “Il lupo è e resta una specie protetta. Non c’è nessun piano di abbattimento. Come specie protetta, rientra nella direttiva europea Habitat, che prevede da sempre – e per tutti gli animali protetti – la possibilità di deroga in particolarissime condizioni, e soddisfatti 4 criteri molto stringenti. Ad oggi, questi criteri impediscono l’abbattimento di qualsiasi animale in tutte le regioni italiane”. In altre parole, le regioni che volessero una deroga – e dunque la possibilità di abbattere un certo numero di esemplari – dovrebbero soddisfare requisiti che nessuno vanta. “Per esempio bisogna dimostrare di aver fatto tutte le possibili azioni preventive, e molte regioni non fanno nulla. Bisogna conoscere il numero di animali presenti sul territorio, e nessuno oggi spende un euro per farlo”.
In sintesi, e riassumendo, tutto il polverone che al solito si solleva quando si parla di caccia selettiva a lupi o orsi è 1) privo di fondamento. 2) descritto da un punto di vista sempre parziale, e viziato da emotività e demagogia. Punto numero 3), le regioni – e l’opinione pubblica – dovrebbero piuttosto darsi una svegliata e ascoltare il lamento di agricoltori e allevatori, veicolato da quello degli etologi e ricercatori, prima che l’Italia – finora vanto del conservazionismo per esser riuscita – finora – a garantire un equilibrio tra due coinquilini inadatti luno all’altro – l’uomo e i grossi predatori – possa continuare a farlo e a vantarsene nel mondo. “Il nuovo piano di conservazione del governo è di 70 pagine. Quello di cui stiamo parlando è questione di mezza paginetta. Le azioni importanti da progettare e fare sono molte e importanti: se le regioni lo faranno, non ci sarà bisogna di alcuna deroga, né di abbattimenti selettivi”. Piuttosto che star qui a discutere del niente, dunque, serve forza ed energia – da parte degli animalisti – per far parlare i media delle restanti 69 pagine e mezzo, perché appunto le regioni si muovano verso azioni decisive, a reale vantaggio degli animali selvatici.
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