domenica, Marzo 23, 2025

L’Italia a rischio commissariamento e qualche mito da sfatare sulle ricette anti-default

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La storia dei conti italiani è un’appassionante telenovela con dinamiche ripetitive, sempre uguali, e soluzioni che  non garantiscono il lieto fine  – ma, del resto, se  il programma fosse così banale dovrebbe chiudere dopo appena due puntate e invece a noi piace sviluppare bene la trama.
Negli episodi  precedenti: l’Italia ha approvato un bilancio per il 2017  – alias quanto dobbiamo spendere in modo fisiologico per far funzionare il Paese e come pensiamo di trovare i soldi per coprire queste spese – che non è piaciuto a Bruxelles. Il documento parla di uscite superiori alle coperture finanziarie disponibili e aggiunge debiti al già enorme debito pubblico (2.229 miliardi di euro, al momento).

Secondo i calcoli della Commissione europea dobbiamo racimolare in qualche modo 3 miliardi e 400 mila euro in più per evitare di sforare il – già sforato de facto –  Patto di Stabilità (anche questo personaggio ormai lo dovreste conoscere), cioè l’insieme dei criteri per cui uno Stato Ue garantisce sempre all’Ue che non si indebiterà fino al collo e non scialacquerà denaro con il rischio di far crollare il proprio – e l’altrui – sistema economico.

Per i commissari, il nostro bilancio, così com’è, è vicinissimo a rompere del tutto quel patto: il rapporto tra deficit annuale e prodotto interno lordo sfiora il 3%; il nostro debito pubblico totale è già oltre il 60% della nostra capacità produttiva da anni. Bruxelles quindi vuole correzioni immediate.

Per l’Italia questo significherà ulteriori sacrifici (aumento delle tasse e tagli agli investimenti pubblici)? Qui la sceneggiatura è un po’ confusa.

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Da un lato Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, annuncia che la ricetta per colmare i 3 miliardi e rotti sarà la lotta all’evasione fiscale che proprio pochi giorni fa ha fatto titoli da prima pagina (la Guardia di Finanza nel 2016 ha recuperato 17 miliardi di euro).
Nella nota diramata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, il 1 febbraio, si legge che “il Governo prenderà tra l’altro provvedimenti di contrasto all’evasione fiscale in continuità con quelli già adottati nel recente passato, estendendone la portata” (quindi dopo Google e gli evasori totali si torna al recupero credito di massa o forse al recupero dei 4 miliardi di buco creati dalle ruberie all’interno della P.A.). Ma c’è dell’altro. Per evitare di sforare il Patto, Padoan spiega anche che la seconda misura correttiva riguarderà un nuova “riduzione della spesa”. Quindi tagli e lotta all’evasione.

Avrete notato che non si parla di aumento delle tasse. Anche se non possiamo fidarci delle promesse (ricordiamoci che il blocco dell’aumento dell’Iva, ora al 22%, è appunto  solo uno stop rispetto a una previsione messa nero su bianco) è comunque un sollievo: per troppo tempo l’Italia ha creduto nell’equazione “lotta all’evasione=riduzione della pressione fiscale”, quando in realtà i dati Istat sconfessano questa correlazione. L’economia sommersa, infatti, è scesa passando dal 18% del 2000 al 12% del 2013 e il recupero delle tasse evase è passato da circa 4 miliardi e mezzo del 2004 ai 14,4 miliardi del 2014 e appunto i 17 miliardi di oggi, senza che diminuissero le tasse. Quindi, mentre l’evasione si riduceva, le tasse nel nostro paese sono sempre aumentate. Se oggi il Governo vuole andare in controtendenza, bene.

Non esultiamo però. Nemmeno i tagli proposti da Padoan sono un toccasana. La cura per far quadrare i conti italiani, infatti, starebbe proprio nell’aumentare gli investimenti pubblici con regole che però garantiscano l’efficacia dell’investimento. Gli interventi richiesti da Bruxelles rischiano di incidere sul capitolo più pesante della nostra spesa pubblica: le pensioni. Nel bilancio 2017, infatti, il Governo ha previsto un intervento di circa 1 miliardo e 300 mila euro a beneficio di circa 10 milioni di italiani (su un totale di circa 20 milioni di percipienti). Tagliare  in questo ambito, però, non avrebbe benefici per noi. Lo sostiene ad esempio Tito Boeri, attuale presidente Inps – cioè l’ente che le pensioni le versa – il quale aveva già lanciato l’allarme sulla manovra pensionistica dicendo: attenzione, perché applicando questi aumenti con le regole vigenti aumenterete anche il  debito a carico dei contribuenti più giovani. Ci sono posizioni documentate e opposte a quella di Boeri le quali invece dimostrano come l’attuale manovra sia necessaria. Il presidente dell’Inps però non ha chiesto di spendere di meno, ma il contrario: spendere molto molto di più. Quindi niente tagli, come proposto da Padoan.

Chi sostiene, infatti, che il problema dei conti pubblici italiani sia l’ipertrofia del sistema pensionistico non dice tutta la verità. Se fosse così dovremmo chiederci perché paesi europei che investono anche il doppio dei soldi in welfare non sforino il Patto di Stabilità. L’Eurostat calcola ogni anno quanto ogni Paese dell’Ue destina al sostegno delle voci di assistenza sociale (tra cui anche la previdenza). Nel 2014 l’Italia era  in linea con la media europea, anzi investiva circa il 29% del proprio Pil in spesa sociale totale, qualche punto al di sotto della Danimarca (33,3%) che è ancora in regola con i criteri di Maastricht. Il problema è che questi soldi, da noi, sono spesi male. Boeri ad esempio suggerisce di spendere molto di più nei prossimi 3 anni (oltre 10 miliardi contro gli attuali 3), facendo andare in pensione prima le persone, perché questo garantirebbe un risparmio sulle casse dello Stato nel lungo periodo, con riduzione del debito pubblico e dei contributi a carico dei 30enni di oggi.

Se Padoan adotterà solo tagli per far contenta Bruxelles potrebbe creare un danno strutturale enorme di cui sentiremo gli effetti tra 30 anni: un tempo in realtà molto vicino. La trama quindi si infittisce: più che manovre correttive sui conti  l’Italia dovrebbe corregge i criteri qualitativi che determinano la spesa pubblica nel nostro Paese. Sarebbe così semplice. Ma poi non ci sarebbero altri episodi della saga sul bilancio, e allora avanti con i prossimi intrecci, le prossime complicazioni. In una telenovela infinita che ha stancato tutti, meno i suoi sceneggiatori.

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