sabato, Aprile 20, 2024

Sleepless – Il giustiziere dimostra che non basta che ti rapiscano un figlio per creare tensione

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Non tutti i film sono plausibili e del resto non tutti i film implausibili sono brutti, tante volte l’implausibilità non si percepisce nemmeno. È semmai vero che quando si percepisce, quando tutto suona impossibile ed è impossibile non notare le tante piccole incongruenze, il problema sta altrove, nel fatto che il film non riesca a distrarre lo spettatore a sufficienza, a dirigere la sua attenzione dove serve ma lo lasci annoiato e libero di fissarsi su dettagli e incastri che non combaciano. Così accade in Sleepless, film non meno implausibile di tanti altri film più riusciti ma incapace a nascondere le proprie piccole assurdità.

La storia viene da Notte Bianca, un film francese del 2011, che sul medesimo impianto riusciva a marginalizzare le mille incongruenze, animando una caccia spietata. Al centro c’è un poliziotto corrotto che ha pestato i piedi sbagliati, ha rubato un carico di droga a chi non doveva e ora gli hanno rapito il figlio. Un classico immortale. Per riprenderlo deve riportare il carico in una discoteca molto poco sconvolta da tutto quel che accade in quella folle serata fatta di scambi falliti, la disciplinare che indaga, gente che spara e padri e figli che si inseguono a tutti i livelli, dalla pista da ballo ai bagni.

La particolarità non sta nella trama, ovviamente, ma nella resa e nel grandissimo senso di precarietà di quest’operazione folle.

Fernando Di Leo, grandissimo regista di alcuni dei più importanti e celebrati B movie italiani, spesso ripeteva come il meccanismo del rapimento (o ancora di più dell’omicidio) familiare fosse una molla matematica: tocca la famiglia del protagonista e il pubblico lo autorizzerà a qualsiasi brutalità.

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È una formula che è stata usata moltissimo nel cinema violento degli anni ’70 e che continua ad essere lo spunto di tantissimi thriller e polizieschi in cui tutto è autorizzato. Ora Sleepless – Il giustiziere, come dice la desinenza italiana, riprende proprio l’idea che un uomo, anche addirittura un poliziotto, si trasformi in giustiziere date le circostanze.

Costretto a cercare (il figlio) mentre è cercato (dai gangster e dalla disciplinare), costretto a nascondere (la droga, la pistola) mentre si nasconde a sua volta, Jamie Foxx sembra a disagio in questi panni sporchi di poliziotto in costante difficoltà. Proprio lui che invece aveva fatto faville in Collateral come tassista spaesato, costretto a portare un sicario e ad adattarsi al suo lavoro, non riesce ad entrare davvero in maniera convincente nei dinamici panni di un uomo costantemente in corsa. Almeno non ci riesce come fece 5 anni fa Tomer Sisley, l’attore maghrebino che dominava il film originale. Il fatto poi che il remake sia stato fatto con grande aderenza, con scene uguali e movimenti simili all’originale, rende ancora più evidente la differenza.

Non è nella direzione, nel montaggio (determinante in un film in cui il tempo gioca contro il protagonista) o nell’organizzazione generale della storia il problema vero di questo film, ma nella pochissima adesione che un protagonista sempre in scena come Jamie Foxx dimostra. Non si crede a lui, non si crede al resto della storia e si cominciano a notare le implausibilità.
Purtroppo sembra che del film originale il regista Baran bo Odar e la sceneggiatrice Andrea Berloff abbiano preso unicamente lo spunto (per l’appunto un figlio rapito) come sola possibilità di creazione della tensione necessaria a tenere tutto in piedi.

Di questa discoteca-mondo, in cui sembra esistere tutto, nella quale i protagonisti possono fare qualsiasi cosa e sembrano essere rappresentate tutte le forze in campo, dal crimine alla giustizia, dai pesci grandi a quelli piccoli, fino ai traditori, i doppiogiochisti e le vittime innocenti, l’unica cosa che manca è una vera guida. Una che nell’originale era un uomo fieramente pieno di difetti, non intenzionato a piacere al pubblico ma dotato di una determinazione contagiosa, e qui è un lamentoso poliziotto, a tratti duro, a tratti molle, poco coerente e poco interessante.

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