venerdì, Dicembre 8, 2023

SLA, Dino Bettamin e la scelta di “dormire fino alla morte”

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Dino Bettamin aveva la SLA da alcuni anni. Pesava 38 chili e per respirare aveva bisogno di una cannula che gli passava dal collo e permetteva all’ossigeno di arrivare ai polmoni (tracheostomia). Perché la SLA intacca i muscoli fino a impedirti non solo di camminare e stare in piedi, ma perfino di respirare.
Bettamin per alcuni anni ha sopportato tutti i disagi e le difficoltà della patologia, poi non ce l’ha fatta più. Il 5 febbraio scorso ha chiesto di essere addormentato. Bettamin era cosciente e la sua richiesta era legittima e permessa dalla legge.

Il caso è illuminante nel dominio delle decisioni di fine vita. Nel dibattito delle cure opportune oppure no, per esempio, perché le prime sono solo quelle richieste dal diretto interessato. A tal fine, per chi non avesse più coscienza, servirebbero le direttive anticipate di trattamento, ferme nella palude parlamentare da anni e imbrigliate in discussioni assurde come lo statuto della nutrizione e dell’idratazione artificiale.

O in domande “filosofiche” in realtà volte solo a depotenziare la nostra possibilità di scegliere: “e se cambiate idea?”. Se cambiamo idea, possiamo cambiare direttive. Possiamo anche non farle se non abbiamo voglia di decidere e vogliamo delegare qualcun altro. E, infine, se non siamo più coscienti non ce l’abbiamo più una volontà, perciò sarà preferibile la nostra d’un tempo o quella di uno sconosciuto?

Insomma, dovremmo essere solo noi a decidere se e come curarci (e in caso, come ho già detto, se delegare) sia da coscienti sia da incoscienti.

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È solo la nostra volontà a rendere opportune le cure – e anche una banale aspirina sarebbe inopportuna se somministrata contro il nostro volere.
Sulla proprorzionalità clinica, invece, sarebbe possibile fare un discorso più “oggettivo”, e anche in questo caso la richiesta di Bettamin si collocherebbe nella opportunità clinica (perfino Avvenire ha dovuto “ammetterlo”, «Scelta adeguata. Cure palliative specialistiche»), pubblicando le risposte di Augusto Caraceni, direttore dell’hospice dell’Istituto dei Tumori di Milano.

La sedazione profonda è permessa in Italia da alcuni anni (Legge n. 38/2010, Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), ma in genere è richiesta dai malati oncologici, così come le cure palliative. Queste cure hanno l’intento di migliorare la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari, di controllare il dolore e altri sintomi di patologie incurabili o croniche. Per questo è preferita l’assistenza domiciliare o comunque un contesto meno estraneo ed asettico possibile (come sono invece la maggior parte degli ospedali). In molti paesi sono assenti o scarsamente garantite e anche in Italia non sono molto conosciute, così come non lo sono gli hospice, che sono i “luoghi” delle cure palliative e che sono dedicati al trattamento del paziente nella sua totalità: non solo la terapia mirata (che nel caso di malattie terminali non ha più lo scopo con cui la intendiamo di solito, cioè la guarigione), ma gli aspetti emotivi e psichici di avere a che fare con una malattia grave e senza prospettiva di migloramento. E, soprattutto, alla gestione del dolore, troppo spesso ancora considerato solo come un sintomo da sopportare.

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