giovedì, Febbraio 6, 2025

Mani Pulite, 25 anni fa l’inchiesta che mise l’Italia alla sbarra

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Della stagione di Mani Pulite ci restano forse gli slogan e una serie di termini, espressioni, nomi eccellenti oggi più adatti alla fiction che non alla riflessione e all’autocritica (politica e culturale) della società italiana.
Il 17 febbraio 1992, esattamente 25 anni fa, il pool di pubblici ministeri di Milano guidati da Antonio Di Pietro arrestava il primo di una lunga lista di faccendieri, politici e imprenditori che mandavano avanti il Paese a suon di tangenti: Mario Chiesa, allora esponente del Partito Socialista Italiano.

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Il riferimento alla fiction non è casuale. L’inchiesta ebbe sull’Italia lo stesso effetto di una operazione chirurgica su un tumore avvinghiato ai vasi sanguigni di un paziente: per curare la corrotta Italia si accettò il rischio di recidere qualche parte vitale del suo sistema politico e imprenditoriale dando vita a una narrazione, giornalistica ma non solo, così complicata e incredibile da non sembrare reale. Complicata per i numeri – 1000 tra arresti, indagati, coinvolti -, incredibile per i colpi di scena.

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In questa narrazione emergeva un sistema in cui anche per ottenere una semplice autorizzazione a realizzarsi la veranda (ovviamente abusiva) era  “normale” versare la bustarella al funzionario di turno. C’è una scena nella mini serie voluta e realizzata dall’attore Stefano Accorsi, 1992 – serie che in sostanza ripercorre l’anno X di Mani Pulite e dell’ascesa di Berlusconi nella politica italiana –  in cui si riprende il discorso originale che  Bettino Craxi tenne in Parlamento il 3 luglio di quell’anno.

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Dopo mesi di arresti e interrogatori eccellenti il segretario del Psi, su cui quasi tutte le inchieste di corruzione stavano convergendo, decide di lanciare un messaggio chiaro al pool di magistrati.

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A un certo punto Craxi pronuncia la famosa frase: “E tuttavia […]ciò che tutti sanno è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. Sembra un discorso scritto da uno sceneggiatore e invece no, sono parole autentiche. Abbiamo quindi uno dei principali statisti italiani che ammette pubblicamente non la corruzione di qualche politico, ma di un intero sistema. E non solo dei partiti. Ma anche dei giornali di partito, delle organizzazioni. Delle associazioni. Fin dentro le più piccole realtà comunali. E dice: attenzione, perché se dite che tutto questo è illegale allora vuol dire che l’Italia intera merita il carcere.

Era  vero ciò che diceva Craxi? Era questa normalità, questa prassi tollerata ad aver portato nel paese la corruzione a un livello non superiore, ma completamente diverso? In questa visione la corruzione non era affare dei potenti, ma veniva sdoganata come comportamento comune, diffuso anche tra i cittadini. L’unico modo possibile per far dialogare pubblica amministrazione e amministrati.

Teniamo a mente questo aspetto perché in parte è la chiave per capire come mai oggi nella Penisola questa ricorrenza non sia sentitissima.  Lo dimostra il fatto che Piercamillo Davigo, allora membro del pool milanese e oggi presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, giorni fa in tv si sia lamentato della superficialità con cui in Italia si tratti la data del 17 febbraio.
Come mai sembra non fregare a nessuno di quello che è successo un quarto di secolo fa? La spiegazione è già nei dati del problema.

Mani Pulite fu quasi un attacco suicida i cui effetti ebbero sì il merito di epurare il sistema dai faccendieri ma spazzarono via anche statisti e realtà politiche che –  piaccia o no – avevano permesso alla macchina statale di andare avanti e che in parte esistono ancora oggi.
L’inchiesta  gettò anche i riflettori su un settore dello Stato, la magistratura, che fino a quel momento non era stata oggetto di attenzione da parte del pubblico e di colpo divenne protagonista, suo malgrado, di uno spettacolo in cui  giustizia e  giustizialismo si confondevano.

Questo non significa giustificare la corruzione o dire che Tangentopoli non sia servita. Semmai il contrario.  Ma è una constatazione il fatto che la questione fosse talmente scottante e dolorosa da imporre un escamotage descrittivo, narrativo, per essere raccontata in modo più accettabile. A partire dal nome: Tangentopoli, che ricorda appunto un fumettone e non una vicenda reale.

È come se il modo in cui fu raccontata l’inchiesta – sia dai Craxi di turno sia dai media – abbia  influito tantissimo sulla percezione che gli Italiani hanno poi avuto del fenomeno, aiutandoli  nella comprensione di ciò che accadeva ma allo stesso tempo dando alla vicenda una connotazione grottesca e poco autorevole. A un certo punto non c’era più la lotta all’illegalità al centro del dibattito, ma solo i protagonisti della lotta, le loro storie, le loro imprese, i loro vizi. Tangentopoli ha avuto un effetto “maledizione” sullo stesso Di Pietro, passato dalle copertine dei magazine, che lo celebravano come il giustiziere della notte, alle cronache dei giornali per essere  incappato lui stesso in comportamenti non rispettosi delle regole – ricorderete l’inchiesta di Report che portò all’uscita di scena politica dell’ex magistrato per aver incassato, indebitamente, rimborsi elettorali .

Aveva ragione Craxi? Siamo tutti sulla stessa barca, corruttibili, quindi tanto vale farsene una ragione? No, ovviamente. Questa incursione narrativa ha destabilizzato molto la percezione che oggi abbiamo di Tangentopoli perché siamo convinti che non sia servita a nulla, che sia esagerata, gonfiata. Fiction.
La verità è che in quel periodo molti elettori del Psi rimasero sconvolti dalle rivelazioni dell’inchiesta e così buona parte degli italiani per cui no, non era normale pagare la bustarella per aggirare le regole.
Diciamo allora che un quarto di secolo è  un periodo troppo breve per far cambiare aria a un contesto ancora oggi viziato e per guardare con distacco a fatti dolorosi che non appartengono a un sistema altro, ma un sistema nostro.

Di Mani Pulite ci resta un atto coraggioso di lotta alla corruzione che però ha svelato anche i limiti dei  suoi mezzi. È  lo specchio di tutto ciò che ancora oggi non funziona in Italia,  la prova di tutte le nostre mancanze, incapacità, incompetenze e cattiverie nei confronti della Cosa Pubblica. Un pozzo in cui pensiamo sia meglio non guardare, sbagliando.
Ho citato apposta la serie tv 1992 perché fino a oggi, libri a parte, mi sembra sia stato l’unico tentativo coraggioso e onesto di diffondere massiciamente nella cultura popolare un capitolo scomodissimo della nostra storia recente.
Una fiction che ha ad oggetto un periodo storico reale e non un periodo storico che ha ad oggetto una fiction.

Il rischio, chiaramente, è di rendere quei fatti un fumettone, un sogno ad occhi aperti. Ma se serve a fare i conti con il passato allora accettiamo l’idea di riscrivere almeno il modo in cui ce lo raccontiamo. Potrebbe avere effetti collaterali utili e ridare paradossalmente a Mani Pulite la connotazione che gli spetta: quella di una storia realmente accaduta.

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