giovedì, Marzo 28, 2024

David Lynch: The Art Life, tutti i segreti del grande regista e della sua arte

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A dieci anni dal suo ultimo film e a qualche mese dall’attesissimo sequel di Twin Peaks, sbarca nelle nostre sale il documentario David Lynch: The Art Life, l’atipica autobiografia di un genio del nostro tempo. Un’analisi criptica e affascinante, come tutti i film di questo iconico cineasta di cui continuiamo a ricercare ossessivamente il significato. Jon Nguyen e Jason S., già produttori del documentario Lynch del 2007 incentrato sul backstage delle riprese di Inland Empire – L’impero della mente, si uniscono in questa occasione con Sabrina Sutherland, la produttrice di Twin Peaks, per dare vita ad un ritratto intimo, originale e raffinato.

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In una lunga intervista il regista di Mulholland Drive ripercorre i momenti più significativi dell’infanzia felice vissuta in Idaho e dell’inquieta adolescenza in Virginia. Un viaggio a ritroso, sospeso “tra lo splendore e l’oscurità”, fedele al rivoluzionario immaginario onirico creato dal regista che ha inciso (e continua ad incidere) come pochi sulla storia del linguaggio audiovisivo.

 Il ricordo delle sequenze surreali e controverse di Velluto Blu, della loro ineffabile bellezza, è vivido nella mente dello spettatore che si perde nei confusi racconti di Lynch, delle sue oscure visioni. La prima, quella di una bellissima donna nuda con la bocca insanguinata, inaugura una sequela di disegni e dipinti dal grande impatto visivo, degni dello storyboard di uno dei suoi film.

Quello che ritroviamo oggi è uno stravagante settantenne che non ha nessuna intenzione di tornare dietro la macchina da presa – demordano anche le sue legioni di fan incalliti – e che è invece dedito allo studio delle arti figurative e all’amore per le donne della sua vita, le uniche a cui è concesso inserirsi nel suo turbinio di indecifrabili emozioni.

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 La fonte delle sue creazioni rimane però la stessa: “È il passato a colorare le nostre idee”, chiosa. Dedica il film alla sua figlia più piccola, perché The Art Life non è solo un regalo per i suoi fan che avranno l’opportunità di sondare la mente del loro idolo ma un impareggiabile inno alla libertà creativa dei più giovani. 

Ma David Lynch non ha proprio nulla a che vedere con le nuove generazioni la cui smania di apparire spesso prevale sull’affermazione della propria identità. Lui con le sue identità ci gioca, deviando costantemente la percezione dello spettatore, talmente padrone del suo essere da risultare carismatico perfino in silenzio mentre fuma una sigaretta e contempla le colline di Hollywood. Ai suoi genitori va il suo principale ma implicito ringraziamento. È la madre Edwina “Sunny” la prima a credere nel suo potenziale. “Fece una delle cose più straordinarie che ricordi. Siccome disegnavo incessantemente si rifiutò di comprarmi libri da colorare, come aveva fatto con mio fratello e mia sorella. Decise di non porre un freno alla mia creatività”.

I piccoli aneddoti della sua infanzia evidenziano solo in parte i sentimenti, gli impulsi e le preoccupazioni che hanno ispirato l’artista. Ma le sorprese non mancano. Contrariamente a quanto si possa pensare guardando i suoi film, tenebrosi e caotici, David Lynch proviene da una famiglia estremamente unita e premurosa. “Non c’era nessun esercizio di autorità ma solo una base d’amore su cui vivere”, racconta commosso il celebre film-maker. A questa libertà e agli incubi ad occhi aperti che fin da subito hanno cominciato a funestare la sua fantasia dobbiamo i capolavori che ha consegnato al mondo del cinema: da La mente che cancella a Strade perdute passando per Cuore selvaggio e Una storia vera

Gli eventi misteriosi e soprannaturali si rincorrono come nelle contorte trame dei suoi film di cui questa volta David Lynch è il solo protagonista, il cittadino onorario di un universo parallelo a cui per anni ha provato a darci accesso. Ma non aspettatevi risposte, quello che avrete è qualche indizio sparso qua e là, fuorviante e contraddittorio come un’indagine dell’agente Dale Cooper in un episodio di Twin Peaks. Il finale, malinconico e improvviso, lascia interdetti, come è lecito aspettarsi da chi ha fatto dell’ambiguità dello storytelling un marchio di fabbrica. Il vero miracolo è che, nonostante abbia scelto di cedere alla tentazione dell’ego, l’immagine di Lynch, del popolare artista surreale, rimanga intatta, uscendone perfino rafforzata. 

Quando Liv Corfixen nel documentario My Life Directed By Nicolas Winding Refn rivela le nevrosi del marito, il regista danese ne esce ridimensionato, fatto a pezzi dal confronto tra la persona, fragile e insicura, e il regista di Drive o Solo dio perdona, disturbante e violento. In David Lynch: The Art Life accade esattamente il contrario perché l’artista trascende, entrando solo apparentemente in connessione con la realtà. Uno dei rari casi in cui è impossibile scindere il senso dell’arte da quello della vita.

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