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Per un appassionato di cinema, per un desideroso cultore dell’osservazione cinematografica in anteprima, per un ricercatore di selfie e autografi di registi e attori, per un critico alla perpetua redazione di bilanci sullo stato di salute della settima arte, per un giornalista cultore della recensione-seriale-da-festival o per un produttore o regista desiderosi di vendere al mercato la loro opera, è immancabile il festival berlinese chiamato un po’ meno comunemente Internationale Filmfestspiele Berlin.
Trascorrere i circa 10 giorni di questa kermesse significa assaporare un’esperienza di vita in quanto un festival scandisce la quotidianità con orari bloccati tra proiezioni, conferenze stampa e incontri. La Berlinale, però, rispetto agli altri festival ha qualcosa in più. Ciò che sorprende, infatti, un neofita della manifestazione, come chi vi scrive, è la perfetta macchina organizzativa. C’è un totale e assoluto rispetto degli orari e delle regole. E’ quasi impossibile che una proiezione inizi in ritardo, anche solo di 1 minuto, o che una conferenza stampa si protragga più dello stabilito o un incontro con attori o registi non sia già preventivamente regolarizzato, così da permettere a chi ne fruisce di programmare la propria giornata lavorativa nel migliore dei modi. L’efficienza dunque dell’organizzazione e dello staff è impeccabile.
C’è anche da dire che troppa rigidità a volte non è sempre un elemento a favore. Ho assistito a scene in cui le maschere spingevano con molta insistenza il pubblico a sedersi a pochi minuti dall’inizio della proiezione o placcavano chi munito di carta e penna voleva chiedere un autografo ai membri della giuria seduti con gli accrediti nelle proiezioni stampa. In realtà, però, la loro severità è di facciata e nasconde una grande disponibilità e cura degli ospiti. Una piccola esperienza personale può aiutare a capire. Un giorno ho smarrito il mio orologio. Non avendolo trovato da nessuna parte, il giorno seguente ho chiesto a una delle guardia della sala del Berlinale Palast se era stato ritrovato un orologio nelle proiezioni del giorno precedente. La ragazza con sguardo e volto molto seri mi ha fatto una serie di domande sulla fattura dell’oggetto, chiedendomi anche se ne avevo una foto, per poi passare le risposte tramite microfono inserito nella giacca a un collega. Terminato l'”interrogatorio”, la maschera mi dice:” Wait a moment, please”. Attendo speranzoso, quando a un certo punto dal fondo del corridoio in cui mi trovavo si manifesta un ragazzo veramente grosso, con faccia truce e mascella di ferro. Si avvicina, si ferma, mi fissa e poi esplode in un sorriso, urlando “Is your birthday, today?” mentre mi sventola di fronte agli occhi il mio orologio. Personalmente sono scoppiato a ridere e ho boffonchiato una risposta, mentre la ragazza se la rideva invece di gran lunga. Dopo averlo ringraziato, entrambi in coro mi hanno augurato buona giornata. Ciò per testimoniare la precisione e la professionalità dello staff.
Un’organizzazione e una proposta di servizi così ben articolata rendono significativa la vita della manifestazione tedesca. Eppure in tutta questa precisione manca qualcosa. La sensazione avuta da chi vi scrive è che la Berlinale sia deficitaria in una delle componenti fondamentali di un festival di cinema, ossia l’atmosfera. Personalmente non ho respirato quell’aria frizzante e magica che circonda, al contrario, Venezia e Cannes. Sicuramente la stagione non aiuta, perché febbraio non ha il clima temperato e piacevole di maggio o settembre, ed è indubbio che la storia della Berlinale è più attenta a un certo tipo di cinema, anche meno di intrattenimento che può catalizzare determinati modi e volti del cinema internazionale. Eppure gli attori famosi arrivano a Berlino, i registi importanti vi transitano anche solo per andare a discutere, insieme ai produttori, all’importate mercato. Ma dove si trovano? A parte sul red carpet, per il resto nel microcosmo di Marlene Dietrich Platz non si vedono camminare e parlare con il loro pubblico. Non si nota alla Berlinale, infatti, la presenza di spontaneità e creatività che porta a creare una conferenza stampa in luoghi improvvisati, a discutere di cinema con i registi per strada, a condividere una foto o un autografo con il proprio attore o attrice di riferimento, sorpresi a bere qualcosa al bar. A parte Wim Wenders che si muove indisturbato, nessun’altra personalità del cinema sembrerebbe potersi liberare dal rigido programma scandito dall’organizzazione. Questa rimane una sensazione e una visione parziale di un festival che vissuto ogni anno, può sicuramente rivelare anche questa facciata e soddisfare queste attese.
Questa è anche la Berlinale, un festival che per tutto quanto qui proposto può trovare una risposta positiva alla domanda, perché andare al Festival di Berlino?