venerdì, Dicembre 8, 2023

San Camillo, la difficoltà di garantire aborto e obiezione di coscienza

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Da quando sono stati previsti concorsi per soli non obiettori al San Camillo di Roma, la discussione sull’interruzione volontaria di gravidanza si è rianimata seguendo le linee dei soliti due schieramenti. Da una parte chi esulta, dall’altra chi critica la scelta.
In questa circostanza, si possono trovare ragioni condivisibili in entrambi i fronti.

Gli aspetti positivi riguardano lo sforzo di garantire, sebbene verrebbe da dire in extremis, un servizio sanitario. Ricordo cinque anni fa l’Associazione Luca Coscioni e l’Aied avevano chiesto alle regioni concorsi dedicati per garantire la presenza di personale non obiettore (che la stessa legge 194 richiederebbe), un albo pubblico dei medici obiettori e altri strumenti per rimediare agli effetti delle altissime percentuali di obiettori di coscienza, che in alcune strutture raggiungono il 100%.

Un passo quasi indolore – i medici gettonati sono un costo aggiuntivo per la sanità pubblica, già non in ottime condizioni – potrebbe riguardare la riorganizzazione delle strutture sanitarie, compresa la facilitazione dell’aborto medico, cioè la RU486. In quest’ottica rientrerebbero anche gli albi pubblici: oggi non è possibile sapere chi è obiettore e quanti sono gli operatori sanitari obiettori di coscienza per singola struttura, ma la relazione annuale del Ministero sulla 194 indica solo le cifre regionali. Se devo interrompere una gravidanza, quindi, potrei trovarmi in un ospedale in cui nessun medico esegue aborti.

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Se l’interruzione riguarda il secondo trimestre, lo scenario è ulteriormente più complicato perché sono ancora meno i medici che eseguono interruzioni tardive.
Insomma, la decisione che riguarda il San Camillo cerca di rispondere alla domanda: come possiamo garantire un servizio medico? Ma è la risposta è quella giusta?

Tra chi critica questa scelta c’è, prevedibilmente, la Cei. Meno prevedibilmente (non viviamo in un mondo ideale) si esprimono il ministro della salute e il presidente emerito della Corte costituzionale. Tuttavia esiste il rischio che un bando unicamente volto ai non obiettori possa essere impugnato come violazione delle norme di proporzionalità in materia di diritto del lavoro. La questione è tecnica e se ne potrebbe discutere a lungo, e contro questa interpretazione sembrerebbe andare il decreto legislativo 216 del 2003, che giudicava non discriminatori eventuali concorsi che richiedevano determinati requisiti professionali (in questo caso, la disponibilità a garantire un servizio sanitario – come se si partecipasse a un concorso per traduttori e si pretendesse di non sapere manco una lingua).

Uno scontro simile si era verificato quando la regione Puglia aveva cercato di riorganizzare la rete dei consultori: assumere personale non obiettore (un medico e due ostetriche per Asl). Allora l’obiezione in Puglia era dell’80%. L’ordine dei medici aveva fatto ricorso al Tar e aveva vinto, perché il Tar aveva giudicato la clausola discriminatoria ed “espulsiva”. In quel caso, in verità, la richiesta era un po’ bizzarra, visto che nei consultori non si eseguono aborti, ma il principio potrebbe essere applicato anche al caso odierno.

È evidente che alla domanda “com’è possibile garantire l’interruzione di gravidanza e l’obiezione di coscienza?” non sia facile rispondere e che vi siano intrecci con questioni di diritto del lavoro e di garanzie costituzionale. La legge 194 garantisce l’obiezione di coscienza ma non specifica come assicurare questa possibilità garantendo allo stesso tempo l’aborto, nonostante quest’ultimo sembri godere di una garanzia più forte della garanzia dell’obiezione. Rimanendo necessariamente vaga sui mezzi, la legge lascia spazio al disinteresse e all’approssimazione.

Idealmente, il modo più “semplice” di risolvere il conflitto sarebbe eliminare la possibilità per chi sceglie volontariamente e liberamente di diventare medico, ginecologo e di lavorare in una struttura pubblica di sottrarsi a uno dei servizi nel dominio “diritti alla salute”, cioè l’aborto volontario. Potremmo anche domandarci per l’ennesima volta per quale ragione gli anestesisti possano invocare l’obiezione di coscienza, visto che l’articolo 9 “esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento” e che alleviare il dolore non rientra nelle procedure squisitamente abortive.

Dalla legge sono passati quasi quarant’anni e chi oggi decide liberamente di compiere quei tre livelli di scelta potrebbe lasciare a casa la propria coscienza.
Ma nel mondo reale, quello in cui è stata concepita una norma come la legge 40, è forse inevitabile continuare a dibattere in questo paludoso scenario in cui ogni iniziativa rischia di rimanere imprigionata in questioni burocratiche.

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