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Il cinema italiano ha un rapporto strano con la televisione, non la rappresenta quasi mai e quando lo fa non è mai per capire come influisca sulla realtà ma più che altro per sottolinearne la bassezza dei contenuti, la povertà delle figure professionali. Quasi nessuno dei migliori autori ha avuto una felice provenienza dal piccolo schermo e i comici di grande successo, che invece a quel mezzo devono molto, preferiscono non toccare l’argomento.
Altro discorso vale per Maccio Capatonda che non è solo nato artisticamente in televisione ma che dei contenuti televisivi ha fatto la propria musa. La sua comicità è sempre stata una creazione a partire dai cliché e dal linguaggio televisivo, dalle sue bruttezze e idiozie. Per Maccio, semplicemente, non si può prescindere dalla televisione.
Così avviene che anche nel suo nuovo film, Omicidio all’Italiana, la televisione sia il centro attorno al quale ruota tutto. Come per Italiano medio infatti a Maccio non interessa mai parlare del mezzo in sé, di ciò che avviene dentro televisione o di come questa rappresenti il mondo.
Quel che gli interessa sempre è che effetto abbia su chi la guarda, come ci cambi. Nei suoi film sembra che qualsiasi personaggio principale sia definito dal diverso modo in cui l’universo televisivo lo coinvolge, lo influenza e ne indirizza pensiero e azione. Omicidio all’italiana in questo è ancora più determinato e chirurgico perché il cuore stesso della trama coinvolge l’influenza televisiva.
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Questa volta non è un singolo ad aspirare alla televisione ma un intero paesino, che passando attraverso la lente delle telecamere conta di cambiare il proprio destino. Tutti se ne vogliono andare da Acitrullo e, considerato che la popolazione non supera la decina di anime, il sindaco ha un problema. La morte improvvisa di una contessa gli offre lo spunto per inscenare un omicidio efferato, così da attirare la trasmissione Chi l’acciso e, di riflesso, la curiosità degli altri media. Il caso di cronaca porterà il paesino in televisione automaticamente dandogli lustro, farà ripartire l’economia, lo metterà al centro di tutto come accaduto per Avetrana o Cogne.
Intanto però il fratello del sindaco sogna di andare in un centro più grande, di vivere la vita rutilante della metropoli, di realizzarsi come uomo moderno in un luogo moderno: Campobasso.
Omicidio all’italiana non è più un compendio della comicità di Maccio come Italiano medio (in questo molto efficace, diretto e secco) ma un’opera che guarda un po’ più avanti e che quell’umorismo assurdo e unico vuole utilizzarlo. Questo comico che come nessun altro oggi sembra potersi permettere i più massacranti attacchi a tutto e tutti, perché nessuno apparentemente si riconosce in quel che lui rappresenta, mette in scena un mondo di razzisti ed egoisti, di cinici profittatori come in precedenza avevamo visto solo nei film di Luciano Salce. Il fatto poi che lo faccia con la grazia umoristica che da tempo gli riconosciamo, quella capacità di associare il massimo del basso e del semplice eseguito con tempi inesorabili, al massimo del sofisticato e ardito, lo rendono senza dubbio una delle voci più interessanti da seguire.
Anche qui la sua grande intuizione sta nel rappresentare il rapporto tra tv e società non come uno in cui la televisione si ciba di realtà (come fanno moltissimi) ma in cui è la realtà a cibarsi della televisione per il proprio sostentamento, quasi per la propria esistenza. Sono le troupe televisive a gestire la scena del crimine invece che la polizia, perché (“Sappiamo noi come si fa”), è lo studio televisivo il luogo dove andare per il commissario che vuole fare carriera, ma anche lo svelamento del mistero potrà accadere solo una volta portato in tv. È la retorica televisiva quella attraverso la quale il fratello del sindaco cerca di affermare se stessa e così gli altri personaggi.
Quindi se Italiano medio riprendeva dalle creazioni per la tv e per la rete di Maccio quello stile capace di deformare il linguaggio della tv per renderlo comico, paradossale, assurdo, Omicidio all’italiana fa un passaggio ulteriore. Parlando la lingua del cinema mette in relazione il più potente dei mezzi di comunicazione con la società che ne fruisce, mostra le persone per come sono influenzate dalla tv, nell’atto stesso di esserne cambiate. Ovviamente sarà un cambiamento in peggio ma non per disprezzo del mezzo, perché tutto nei film di Maccio Capatonda va per il peggio, la meschinità è la strada scelta da chiunque, l’ignoranza e l’incapacità sono le caratteristiche che dominano ogni carattere.
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