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Fonte: Assocalzaturifici
I dati* di Assocalzaturifici 2016 tratteggiano un quadro poco brillante per il settore, che chiude con numeri debolmente negativi, almeno in quantità, nelle principali variabili.
L’industria calzaturiera in Italia è ancora in affanno.
L’ultimo trimestre non ha apportato variazioni significative, confermando gli andamenti poco soddisfacenti di produzione, export (che pure segna un lieve aumento in valore) e consumi nazionali, oltre a una intensificazione delle criticità sul fronte occupazionale. Ancora un anno interlocutorio, dunque, in attesa di una congiuntura più favorevole.
La ripresa del mercato interno – dopo otto anni di costante erosione, che dal 2007 al 2015 hanno visto ridurre gli acquisti delle famiglie di oltre 30 milioni di paia – è ancora una volta rimandata: la sostanziale stagnazione in volume è stata accompagnata da una flessione nella spesa (-2,4%), segno evidente che l’attenzione al fattore prezzo (gli acquisti in saldo e in svendita confermano una quota superiore al 50% sul totale) resta elevata.
Sul fronte estero, allo scarso dinamismo dei mercati comunitari – frenati dal rallentamento di quello francese, principale sbocco degli operatori italiani – si è aggiunto il trend poco soddisfacente dei Paesi extra-UE. Al perdurare della crisi sui mercati dell’area CSI – dove il crollo degli ordinativi sembra aver raggiunto il punto più basso e iniziato una timida risalita, benché le vendite complessive restino ancora al di sotto del 40% in volume e del 50% in valore rispetto a tre anni fa – si è aggiunta, dopo sei anni di consolidamento, l’inversione di tendenza negli USA (dove all’orizzonte, per giunta, sono comparse le nubi minacciose di una possibile virata protezionistica) e la brusca frenata in Medio Oriente.
In uno scenario così complesso, il settore è riuscito comunque a limitare la perdita nei livelli produttivi in 2 punti percentuali in volume, confermando i 7,5 miliardi di euro in valore, +0,3%.
Grazie ancora una volta all’export (+2,5%), l’attivo del saldo commerciale registra un lieve consolidamento (+1,3%) avvicinandosi a 4,2 miliardi di euro.
Inevitabilmente, però, sono ricomparse tensioni sul fronte occupazionale.
PRODUZIONE E PREZZI DELL’INDUSTRIA CALZATURIERA IN ITALIA
La stima di preconsuntivo riferita all’intero anno – elaborata sulla base delle indicazioni del campione attraverso opportuna ponderazione dimensionale – si attesta a un -2% in volume, che equivale a 187,5 milioni di paia prodotte (3,7 milioni in meno rispetto al 2015).
Il dato medio complessivo nasconde come sempre situazioni diversificate tra i rispondenti.
Le imprese che hanno subìto una contrazione dell’output restano maggioritarie (56%), come era accaduto nelle indagini trimestrali precedenti. In lieve aumento, rispetto al recente passato, la quota di aziende che sono passate da una situazione di stabilità (denunciata in questa occasione dal 21% degli interpellati) a una di crescita (23%).
Nel complesso una situazione poco premiante, che riflette le difficoltà che le aziende hanno dovuto affrontare a causa di una domanda sottotono in diversi importanti mercati di sbocco.
Applicando alle indicazioni precedenti le dinamiche di prezzo segnalate dalle imprese (+1,1% sul versante interno e +2,5% sui mercati esteri, in media), è possibile stimare un valore della produzione Made in Italy per il 2016 pari a 7.515 milioni di euro (+0,3%).
Confrontando col 2015, quindi, la flessione registrata nei volumi risulta un po’ meno marcata (-2% rispetto a -2,9%) ed è comparso il segno positivo in valore.
INTERSCAMBIO COMMERCIALE
Le cifre di Istat mostrano, nel periodo gennaio-ottobre, un incremento dell’export in valore del 2,6%, a fronte di una riduzione in volume del -1%. Il prezzo medio, pari a 42,29 euro/paio, risulta in crescita del 3,7%.
Sono stati esportati circa 178 milioni di paia, 1,8 milioni in meno dell’analogo periodo 2015, per 7,53 miliardi di euro. Tali dati comprendono, come sempre, sia la vendita all’estero di produzione realizzata in Italia che le operazioni di pura commercializzazione.
Analizzando la serie storica dell’ultimo decennio si evince come il risultato attuale sia – a dispetto del decremento in quantità piuttosto contenuto rispetto all’anno precedente – decisamente insoddisfacente: solo nei primi 10 mesi del 2009, in piena crisi economica mondiale, i volumi esportati risultarono inferiori (167,1 milioni di paia allora). Non così in termini di valore dove, invece, in seguito al progressivo spostamento dell’offerta verso fasce prezzo più elevate, è stato raggiunto un nuovo record: è infatti il valore più alto degli ultimi quindici anni, anche al netto delle dinamiche inflattive.
Tra i mercati comunitari (-0,9% in quantità e +2% in valore nel complesso), cui sono dirette 7 scarpe su 10 vendute all’estero, frena la Francia (che resta comunque la prima destinazione, malgrado l’arretramento sia in volume, -5,7%, che in valore, -1,2%), mentre tiene la Germania (+0,8% e +2,9% rispettivamente). Sul risultato del mercato transalpino, assieme alla flessione nelle commesse dovuto al rallentamento della crescita dei grandi gruppi del lusso di cui molte aziende sono terziste, ha inciso – soprattutto nell’area parigina – il calo dei consumi, oltre che del turismo, legato alla minaccia terroristica.
Segno positivo per i Paesi Bassi (+4,4% in quantità); male invece Belgio e Austria (-12% e -5,2% rispettivamente); pressoché stabili Spagna e Regno Unito (entrambi -0,5% in volume). Relativamente a quest’ultimo, l’analisi dei flussi per periodo esclude sinora trend negativi o effetti particolari legati all’esito del referendum sulla Brexit del 23 giugno: da luglio ad ottobre l’export italiano verso il Regno Unito mostra infatti un aumento del 2,9% in quantità, a fronte del -2,4% del primo semestre.
Fuori dai confini dell’Unione prosegue il momento poco brillante generale, già evidenziatosi nel 2014 e 2015: nei primi 10 mesi 2016 l’export extra-UE è sceso dell’1,2% in volume, con un +3,3% in valore.
Nei primi 10 mesi gli USA registrano flessioni del 5,2% in quantità e del 3,6% in valore e hanno perso due posizioni, rispetto al consuntivo 2015, nella classifica dei principali clienti in valore (scendendo al quarto posto, scavalcati da Germania e Svizzera).
Pesante poi la battuta d’arresto in Medio Oriente (-15,5% in quantità globalmente), in particolare negli Emirati (-24,3%) e in Arabia Saudita (ridottasi in volume di un terzo, -32,2%).
Discorso a parte per l’area CSI. I dati Istat indicano come, dopo il crollo dell’ultimo biennio, sia iniziata, pur molto lentamente, la fase di risalita: +10,4% in volume le vendite nei primi 10 mesi, con Russia +9,9% e soprattutto Ucraina +44,2% (mentre il Kazakistan segna ancora un -15,6%).
Venendo alle note positive, due sole sono le macro-aree che presentano incrementi sia in quantità che in valore sul 2015: gli “Altri Paesi europei non UE” (+12,7% in valore), trainati dalla Svizzera (+15,5%, tradizionale piattaforma logistica), e i mercati del Far East (+4,1% in volume e +6,5% in valore). Pur se l’aumento è decisamente meno rilevante rispetto al passato (tra 2008 e 2015 l’export nell’area è cresciuto del 57% in quantità e del 168% in valore), l’Estremo Oriente si è confermato uno degli sbocchi più dinamici. Considerate assieme, la Cina (+5% in volume, anche se stabile in valore, -0,3%) e Hong Kong (+1,7% in quantità e +6,1% in valore) rappresentano il nostro quinto mercato in valore. Crescono anche Corea del Sud (+14,4%) e Giappone (+9%, che flette però dell’1,9% in volume).
L’import è invece cresciuto, nei primi 10 mesi, del 2,8% in quantità e del 3,8% in valore, attestandosi (reimportazioni incluse) a 297,5 milioni di paia (8 milioni in più su gennaio/ottobre 2015).
La graduatoria dei fornitori è come sempre guidata dalla Cina, da cui provengono 4 scarpe su 10 in entrata, rimasta sui livelli 2015 in volume (-0,5%), ma con una diminuzione di oltre 9 punti percentuali nel prezzo medio (sceso a 6,41 euro/paio, quasi tre volte inferiore a quello degli altri Paesi di origine). Frenano Romania (-5,5% in quantità, tradizionale partner europeo nelle operazioni di delocalizzazione), Francia (-3,5%) e Vietnam (-0,8%). Crescono invece le triangolazioni da Belgio (+3,3% in volume) e Paesi Bassi (+8,7%).
CONSUMI INTERNI DELL’INDUSTRIA CALZATURIERA IN ITALIA
Consumi delle famiglie italiane ancora al palo: dopo otto anni di erosioni ininterrotte, anche il 2016 chiude con risultati inferiori alle attese. Secondo i dati elaborati per Assocalzaturifici dal Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca, gli acquisti di calzature sono rimasti sui livelli del 2015 (-0,1%), ma con un calo ulteriore in termini di spesa (-2,4%, analogo a quello dell’anno precedente) indotto da prezzi medi nuovamente al ribasso (-2,3%).
CESSATE ATTIVITA’ NELL’INDUSTRIA CALZATURIERA IN ITALIA
Nel corso del 2016 il numero di calzaturifici attivi è sceso di 97 unità (sempre tra industria e artigianato), attestandosi a fine dicembre a 4.839 (-2%).
Il numero medio di addetti per azienda risulta pari a 15,86 (+1,6%).
Allargando il campo d’osservazione e comprendendo anche i produttori di componentistica, ovvero l’intera voce Ateco CB152 “Fabbricazione di calzature”, il saldo negativo tra le aziende sale a -203.
Tra le sette regioni a vocazione calzaturiera, solo la Campania presenta un segno positivo (peraltro limitato a 1 sola unità in più rispetto a fine 2015). Marche (-101 imprese), Toscana (-44 imprese) e Veneto (-38 imprese) le aree con le contrazioni più pesanti in termini assoluti.
CONCLUSIONI
Il preconsuntivo 2016 consegna una fotografia in chiaroscuro.
A sostenere il settore ancora una volta l’export. L’anno però è stato caratterizzato da serie difficoltà in molti importanti sbocchi, che hanno ridotto il ventaglio dei mercati e delle nicchie che offrono margini di penetrazione ancora interessanti e reso la competizione sempre più agguerrita.
CSI, Medio Oriente e USA sono le aree che presentano oggi le maggiori criticità. Completano il quadro il rallentamento della crescita cinese – non più a doppia cifra – la stagnazione europea, e l’ennesima mancata ripartenza del mercato nazionale.
Il 2017 è iniziato senza grandi illusioni, con molte incognite di natura economica e politica sulla scena internazionale – tra cui il possibile ritorno a politiche protezionistiche – che rendono difficile ogni previsione.
L’aumento degli ordinativi nel settore manifatturiero, la crescita della fiducia dei consumatori e la ripresa registrata dall’indicatore anticipatore dell’attività economica hanno spinto Istat a fine 2016 ad affermare che nell’economia italiana vadano consolidandosi i segnali positivi. L’auspicio è che queste prime indicazioni favorevoli possano estendersi presto alla generalità dei settori produttivi, ridando – attraverso la ripresa della domanda da tempo attesa – pieno vigore anche alle attività delle aziende calzaturiere, da tempo costrette ad affrontare una situazione congiunturale assai delicata.
* I dati relativi all’andamento di produzione, prezzi e ordini sono stati elaborati sulla base dei risultati dell’indagine campionaria svolta da Assocalzaturifici presso gli Associati.