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AAA Cercasi un logo, un video e uno slogan per promuovere il turismo cittadino. Un progetto di comunicazione che “valorizzi l’identità della città ed il suo appeal turistico, evidenziando al contempo anche le peculiarità naturalistiche, paesaggistiche ed ambientali del suo territorio”. Offresi gratitudine, visibilità e per i vincitori delle tre categorie “un premio in natura consistente in un tablet”.
In un presente sempre più proiettato verso l’era digitale dove la comunicazione ha assunto un ruolo chiave per veicolare i prodotti, il regolamento dell’iniziativa “InVento Trieste”, promossa dal comune giuliano, ha fatto storcere il naso a molti. L’indignazione di grafici, creativi e videomaker per la scarsa considerazione della propria professione non ha tardato a manifestarsi sul web trasformandosi in una contro iniziativa dagli effetti comici. Parallelamente al concorso comunale è nata infatti una selezione che ne raccoglie le proposte rifiutate, alla quale ironicamente hanno deciso di partecipare numerosi professionisti.
Out Run – Bonus stage: Trieste (Andrea Tinis)
Out Run – Bonus stage: Trieste (Andrea Tinis)
Per gli amanti del pre-Basaglia. Ripristino immediato del “Bondage 180” (Elisa Biagi)
La ferriera di Trieste in pole position (Marco Cime)
Tristezza e Solitudine in Friuli-Venezia Giulia (Federico Pascolutti)
Se non è Trento, è Trieste (Annalisa Metus)
Bora! Bora! Bora! (Andrea Rivetta)
“Come to visit tutti the Shortbridge of Trieste” (Roberta Cibeu)
Trieste, la città del cocal (gabbiano) (Paolo Rovis)
Monte Grisa, un santuario di cui innamorarsi (Demetrio Damiani)
Per una Trieste più energica, Jotarade (la jota è una zuppa tipica triestina) (Diego Puissa)
L’obiettivo? Farsi due risate in compagnia, attraverso la creazione di prodotti multimediali che tratteggiano innumerevoli caricature della città e dei suoi abitanti. “Non si tratta di un boicottaggio, l’iniziativa è nata spontaneamente. Mi sono accorto che un numero sempre maggiore di persone postavano loghi bellissimi e improbabili. Così ho pensato di raccoglierli”, spiega Andrea, ideatore del gruppo su Facebook che in appena due settimane ha raggiunto il triplo dei followers della pagina ufficiale.
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E allora via libera alle allusioni sull’età media della città (tra le più elevate d’Europa), ai disagi provocati dalla Bora, al frequente equivoco con la lontana Trento o ancora, alla radicata rivalità tra friulani e giuliani. Senza dimenticare Franco Basaglia e la “spiaggia” cittadina di Barcola, costituita da marciapiedi. Su “Proposte Rifiutate” il controverso santuario di Monte Grisa ruba la scena alla scenografica Piazza Unità e può succedere che cinghiali e gabbiani, oggi fin troppo numerosi, sostituiscano l’alabarda come simbolo comunale.
“L’idea di brandizzare la città è giusta, sono sempre più numerose le amministrazioni che esplorano questa strada. Tuttavia, temo che le modalità con cui è stata imbastita l’iniziativa non porteranno ai risultati sperati”, riflette Paolo Rovis, titolare di una tipografia con un passato da copywriter e di assessore al turismo alle spalle. “Se hai mal di denti non fermi il primo che passa per strada e gli chiedi di infilarti le mani in bocca. La buona volontà non cura le carie, devi andare da un dentista”. Creare un brand è un’operazione complessa che nasce da un progetto di comunicazione ben definito e dall’incontro tra competenze differenti. “Affinché un logo funzioni non basta un disegnino carino. C’è dietro uno studio sul messaggio che si vuole comunicare, sul pubblico a cui è destinato, sulle strategie dei concorrenti e su come vuoi posizionarti rispetto a loro”, spiega la grafica Alice Polenghi.
Eppure, le esperienze infelici sono all’ordine del giorno: appena un mese fa Gregor Robertson, sindaco di Vancouver, è stato costretto ad accantonare il nuovo logo municipale su pressione dell’associazione di categoria che riunisce i grafici canadesi. La decisione di affidarsi all’agenzia di comunicazione che propose l’offerta più economica (meno di 8mila dollari canadesi, pari a circa 5.700 euro) ha prodotto un’anonima scritta “City of Vancouver” blu e verde, fatta con il font Gotham senza alcun tipo di crenatura o di altra modifica. La scelta del font, una criptica allusione alla Gotham City del Batman di Tim Burton, non ha evitato che anche in Canada fossero realizzate parodie del logo e proposte alternative. “Si sarebbe potuto cercare il coinvolgimento dei cittadini attraverso un questionario online per capire l’immagine desiderata per la città”, prosegue Rovis. “La sintesi andava però riservata ai professionisti, anche perché, affidando la produzione di logo, slogan e clip a tre persone diverse, rischi di ottenere un risultato incoerente”. D’accordo anche Diego Manna, editore della dissacrante rivista “Monon Behavior” e di “FriKo”, un gioco in scatola il cui logo originario, troppo simile a quello di RisiKo, attirò le attenzioni dei legali di Editrice Giochi che lo obbligarono a sostituire la lettera K con una C. “Si sarebbero potuti creare due percorsi paralleli, uno riservato ai professionisti e l’altro alle scuole. Invece, si è deciso di banalizzare la qualità del prodotto finale, penso soprattutto alla realizzazione dei video”. L’assenza di specifiche tecniche e soprattutto di remunerazione difficilmente attira i professionisti. “Iniziative come queste, retribuite attraverso premi in natura, sviliscono la nostra professione. È un meccanismo perverso che impedisce ai professionisti di vivere del loro mestiere: l’affitto a fine mese non si paga in visibilità”, sbotta Polenghi.
Proprio perché il premio non sia limitato alla visibilità, col trascorrere dei giorni sempre più persone e attività commerciali hanno messo in palio dei premi riservati ai progetti più riusciti. “Credo che il montepremi abbia ormai superato quello del concorso ufficiale: per quanto mi riguarda ho promesso una copia della prima edizione di FriKo. Un vero cimelio”, ride Manna. Il bottino comprende anche album di canzoni triestine, magliette e infradito nonché omaggi alimentari. Perché in fondo, “il vero simbolo della città è il “morbìn”, la capacità di scherzare anche quando le cose non vanno per il verso giusto”, conclude Andrea.
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