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C’è stato un momento in cui abbiamo tutti smesso di fare quello che stavamo facendo e abbiamo iniziato a giocare a Ruzzle. Succedeva 5 anni fa e si trattò di un periodo in cui non si parlava di altro, e nessuno poteva immaginare un passatempo migliore. Oggi però sembra scomparso dai radar, anche se è probabile che ancora ci siano degli appassionati dell’ultima ora intenti a comporre parole sul proprio smartphone.
Lanciato nel marzo 2012 dal’allora sconosciuta casa svedese Mag Interactive, Ruzzle è un gioco che prende ispirazione dal classico Scarabeo, con un meccanismo lievemente differente: è necessario comporre il maggior numero possibile di parole su una griglia di nove lettere, battendo il risultato raggiunto dall’avversario trovato online o fra i propri contatti. Rilasciato dapprima in un mercato ristretto — Svezia, Danimarca, Norvegia e Olanda — dopo l’estate il fenomeno è poi esploso a livello mondiale.
(Foto: Maurizio Pesce / Wired)
Neppure i suoi creatori sanno bene spiegarsi com’è stato possibile raggiungere un pubblico così esteso: “Ci rendevamo conto che creasse parecchia dipendenza, come avevamo visto coi beta tester”, aveva detto uno degli ideatori, Daniel Hasselberg, “ma non potevamo prevedere la sua viralità”. In molti sostengono che una chiave determinante del successo sia stata, in effetti, l’integrazione con i social network e in particolare Twitter, anch’esso all’epoca al suo apice, dove si potevano condividere risultati e lanciare sfide.
Nell’autunno del 2013 e poi nei primi mesi del 2014 la febbre da Ruzzle era al suo culmine.
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L’app rimase per mesi in cima alle classifiche delle più scaricate negli store Apple e Google, soprattutto sul mercato americano. Nel Regno Unito, secondo il Daily Mail, una coppia di origini norvegesi si è sposata dopo aver chattato per mesi in seguito alle loro partite a Ruzzle. In Italia fiorivano le gallery di vip intenti a giocarci, mentre Gerry Scotti voleva trasporre la app in un gameshow da proporre nel preserale di Canale5.
La verità, tuttavia, è che l’attenzione è ormai scemata: anche se c’è ancora qualcuno che ci gioca, nessuno ne parla. Ruzzle è stato per il 2013 quello che il Sudoku è stato per il 2005, anche se allora si trattava di un fenomeno più analogico: una mania globale e virale, trainata dai download stratosferici e cavalcata dai media, che si è ben presto sgonfiata. Lasciando il ricordo di rabbie furiose quando non si riusciva a trovare le parole più lunghe ma anche la realtà di un mercato videoludico mobile che fatica a trovare successi durevoli, come testimoniano più di recente le difficoltà di vecchie glorie come Super Mario Bros.
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