martedì, Maggio 13, 2025

Umberto Guidoni, terzo astronauta italiano: “Andare su un altro pianeta riguarda il futuro della nostra civiltà”

Must Read

Questo articolo è stato pubblicato da questo sito

Dopo due missioni nello Spazio, cinque anni da europarlamentare e con un’instancabile attività divulgativa, il terzo astronauta italiano parla della nuova era spaziale. Sebbene tutto iniziò con quel piccolo passo…

È il 20 luglio 1969. Sugli schermi televisivi di tutto il mondo Neil Armstrong e Buzz Aldrin saltellano con qualche difficoltà. Sono in diretta – quasi – dalla superficie lunare. È trascorso qualche minuto da quando Armstrong, il comandante della missione Apollo 11, ha detto che l’umanità ha fatto un salto gigantesco. Di quelli capaci di cambiare la storia.

Non che ai milioni di giovani in ascolto servisse sentirselo ripetere; incantata di fronte a quei goffi pupazzi di neve spaziali, la loro fantasia è già molto oltre le reali capacità di esplorare il cosmo da parte dell’essere umano. E nemmeno la fantascienza – che di lì a breve avrà un prevedibile picco – riuscirà a replicare le emozioni di quei minuti, quelli del primo sbarco sulla Luna.

In cuor loro, tantissimi hanno già capito che la portata di quel piccolo passo andrà ben oltre l’apice di una competizione più politica che spaziale. Col senno di poi, solo oggi, alla vigilia di una nuova era di migrazioni cosmiche, è chiaro quanto ogni contributo umano all’esplorazione dell’Universo abbia riguardato e riguardi tutti.

Nessuno escluso.

Guidoni_PortraitUmberto Guidoni in due foto ufficiali. Laddove non specificato diversamente, le immagini di questo articolo sono prese dal sito ufficiale dell’astronauta

Umberto Guidoni è proprio fra quelli che, di fronte al televisore, capirono tutto già quel 20 luglio. Nato a Roma nel 1954, si laurea in astrofisica pochi anni dopo il primo allunaggio. E no, i due fatti non sono slegati.

Consapevole che in quegli anni nessun astronauta viene scelto fuori dai confini statunitensi, la cosa più vicina al suo sogno, volare nello Spazio, è lo studio dell’Universo e delle tecnologie in grado di sondarne l’immensità.

Leggi anche

Detto altrimenti, si mette a progettare satelliti. Entrato nel 1984 all’Istituto di fisica dello Spazio interplanetario di Frascati, collabora alla progettazione del Tethered Satellite System, quello che Franco Malerba, il primo astronauta italiano, porterà in orbita nel ’92.

Che il suo sogno originale possa d’improvviso diventare realtà, a Guidoni diventa chiaro in quegli anni: nel ’90 è selezionato dall’Agenzia spaziale italiana e dalla Nasa come candidato Specialista di carico utile proprio per la prima missione del Tethered. Trasferito al Centro astronauti del Johnson Space Center, inizia l’addestramento che lo porterà oltre l’atmosfera terrestre due volte: nel ’96, in compagnia di Maurizio Cheli, e nel 2001, quando, trasportato dallo shuttle Endevour, diverrà il primo europeo a mettere piede sulla Stazione spaziale internazionale, allora in costruzione.

Smessa la tuta pressurizzata, Guidoni non abbandona le stelle. Da europarlamentare (fra il 2004 e il 2009) è lui a presentare la relazione sullo Spazio Europeo della Ricerca. Oggi prosegue la sua attività divulgativa, con trasmissioni radiofoniche, eventi dedicati e con un’attività editoriale instancabile, che l’ha portato dopo 11 libri al recente Otto passi nel futuro.

Perché di idee su dove ci porterà quel salto del ’69, Guidoni ne ha parecchie, ci racconta in una conversazione per il progetto di Wired che raccoglie le interviste a tutti gli avventurieri italiani dello Spazio.

Guidoni_sts75_Crew

Quali sono stati gli obiettivi scientifici principali delle spedizioni cui ha preso parte, la StsS-75 e la Sts-100?

“La missione Sts-75, a bordo della navetta Columbia, doveva effettuare un esperimento che avrebbe potuto rivoluzionare il modo di rifornire di energia i veicoli spaziali. L’idea di produrre elettricità nello Spazio era semplice dal punto di vista concettuale, ma la sua realizzazione lo era assai meno. Sfruttando l’enorme velocità dello Shuttle e il campo magnetico terrestre si voleva creare una sorta di dinamo spaziale, capace di generare elettricità proprio come avviene con il dispositivo terrestre. La vera sfida era nelle dimensioni: per produrre qualche chilowatt c’era bisogno di un filo lungo 20 chilometri. Per questo la missione era stata ribattezzata ‘satellite al guinzaglio‘. Per inviarlo in orbita, il filo era arrotolato su un enorme rocchetto; da una parte era collegato all’orbiter e all’altra estremità c’era un piccolo satellite, frutto della tecnologia italiana”.

Guidoni_TSS

“Anche nella seconda missione, la Sts-100, a bordo dell’ Endeavour c’era un pezzo d’Italia: si trattava del modulo Raffaello, una sorta di container da agganciare alla Stazione spaziale internazionale, nel 2001 ancora in fase di costruzione. All’interno c’erano diverse tonnellate di esperimenti e rifornimenti per l’equipaggio che la abitava. Scaricarlo non è stato difficile, ma riempirlo di nuovo con il materiale da riportare a Terra si è dimostrato un lavoro certosino. Tutto andava sistemato in modo perfetto, perché altrimenti avrebbe spostato il centro di massa dello shuttle al rientro.

“Oltre a Raffaello, dovevamo istallare il Canadarm2, una gru spaziale che era un elemento critico per proseguire l’assemblaggio della Stazione. Se non avesse funzionato, si sarebbe fermata la costruzione della Iss. Ma in pochi giorni fu reso operativo”.

Ogni impresa spaziale ha complessità enormi; perché, oggi, l’uomo deve viaggiare nel cosmo?

“Perché è la medesima sfida che l’umanità ha affrontato sin da quando i nostri progenitori hanno lasciato l’Africa e iniziato la lenta migrazione che ci ha portati a popolare tutto il pianeta. Grazie all’esplorazione spaziale presto potremmo trasformarci in una specie multi-planetaria.

“L’esplorazione di Marte sarà utile per quello che potremo imparare sulle forme di vita marziane, passate o presenti, e anche sull’utilizzo di eventuali risorse naturali del pianeta. Ma l’importanza di un insediamento umano su un altro corpo celeste va oltre il valore scientifico o economico e riguarda il futuro della nostra civiltà.

“500 anni dopo il viaggio di Colombo, non ricordiamo le scoperte geografiche o i prodotti riportati in Europa, ma abbiamo consapevolezza che quell’impresa ha cambiato la storia. Penso che lo stesso possa accadere nel caso della colonizzazione di Marte, o della scoperta di un pianeta abitabile intorno a un’altra stella”.

Guidoni_Endevour

Qual è il ricordo più vivido legato ai suoi viaggi nello Spazio?

“La Terra che cambia continuamente davanti ai miei occhi: durante un’orbita si vedono oceani azzurri che lasciano il posto a montagne coperte di neve, deserti color ocra interrotti dal verde acceso delle foreste e i riflessi dei fiumi e dei laghi che si rincorrono senza sosta. Non si vedono le tracce dell’umanità, almeno di giorno, ma con il buio si scorgono benissimo le luci della città. È un’immagine magnifica, una meravigliosa oasi colorata circondata da un oceano di vuoto senza fine e fa riflettere l’idea che su quell’oasi, bella quanto fragile, si giochino i destini di tutta l’umanità”.

Lei ha volato sul Columbia, nome glorioso e tragico insieme. Ha mai avuto paura nello Spazio?

“L’addestramento cui sono sottoposti gli astronauti è la chiave per il successo delle missioni spaziali. È una sorta di vaccinazione contro la paura, che viene esorcizzata grazie alla simulazione continua di situazioni pericolose, ripetuta così tanto da renderle famigliari. Ero ben consapevole dei rischi e qualche difficoltà c’è stata durante le due missioni nello Spazio, tuttavia, proprio perché le attività più critiche sono praticate durante il training, le si affronta secondo le procedure messe a punto.

“Contrariamente a quanto si creda, gli astronauti non sono dei temerari; anzi, scopo della preparazione è abituarli a gestire anche situazioni impreviste e rischiose. Nel mio caso abbiamo dovuto affrontare il crash del computer principale della Stazione internazionale [a causa di un aggiornamento del software previsto con l’installazione del Canadarm2, nda] e la conseguente perdita di funzioni importanti, come le comunicazioni e il controllo dei pannelli solari. Per fortuna, la presenza dell’Endeavour e della sua antenna ha permesso di mantenere i collegamenti radio con il centro di controllo, di sostituire il calcolatore bloccato e ripristinare le funzioni originali”.

Guidoni_Spazio

Ripartirebbe se glielo chiedessero?

“Anche domani, ma so che è impossibile. Per partecipare a una missione spaziale occorre una preparazione costante e, ormai, sono lontano da quel mondo da troppi anni: mi sono addestrato sullo Space Shuttle, che oggi è un oggetto da museo”.

Il lavoro di comunicazione di Asi ed Esa è importante per informare le persone comuni circa le vostre attività. Ciò detto non esiste il rischio di una spettacolarizzazione – e quindi banalizzazione – di un lavoro anzitutto scientifico?

“Ho scelto la divulgazione perché credo che l’esperienza di un astronauta possa essere un esempio affascinante per i giovani, non tanto per intraprendere quel mestiere, ma per provare a osservare la realtà con curiosità e andare oltre le spiegazioni convenzionali. L’espressione rapita dei ragazzi che guardano le immagini della Terra dallo Spazio sono uno stimolo a continuare nel mio lavoro di divulgatore.

“Ciò detto, condivido la preoccupazione per la spettacolarizzazione del ruolo dell’astronauta, verificatasi in questi anni. C’è il rischio concreto appaiano più simili ai protagonisti di un reality show che agli esploratori e agli scienziati”.

È stato il primo europeo a entrare nella Iss. E ha anche contribuito a costruirla. Che cosa ricorda di quell’esperienza? E non crede che l’essere arretrati dalla Luna all’orbita della Stazione, a 400 chilometri dalla Terra, sia una battuta di arresto per le esplorazioni spaziali?

“Nessuna battuta di arresto; direi piuttosto che l’avventura dell’essere umano nello Spazio si è presa una pausa di qualche decennio dopo le vette raggiunte con le imprese lunari. Le ultime generazioni di astronauti non hanno scritto pagine epiche come gli uomini dell’Apollo, ma hanno costruito il primo, vero avamposto in orbita.

“Il Vecchio Continente sta svolgendo un ruolo di primo piano in quest’ambito e per me è stato un grande onore rappresentare l’Europa mentre davo il mio piccolo contributo alla realizzazione della casa dell’umanità nello Spazio.  Ricordo in particolare l’emozione del colloquio con il presidente Carlo Azeglio Ciampi e quello con Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea. La Stazione spaziale internazionale è diventata un laboratorio orbitale dove si effettuano esperimenti scientifici in microgravità, una condizione impossibile da riprodurre sulla Terra.

“È anche il banco di prova per nuove tecnologie, che sperimentate nello spazio possono essere applicate sul nostro pianeta. Pannelli solari più efficienti, celle a combustibile per le auto elettriche, o sistemi per riciclare le acque di scarto sono solo alcuni esempi delle tecnologie spaziali con una possibilità di utilizzo nella nostra vita quotidiana. Credo la Stazione spaziale internazionale rappresenti anche il migliore esempio di collaborazione planetaria, un grande progetto spaziale che vede la partecipazione di ben 15 paesi e tra questi gli avversari di un tempo: i russi e gli americani“.

Guidoni_Iss_Incompleta

Ha ammesso di avere chiesto solo un autografo in vita sua: a Neil Armstrong. Perché?

“Perché è stato il mio eroe da ragazzo e il modello cui mi sono ispirato. Quando l’ho incontrato, al centro della Nasa a Houston, è stata un’esperienza indimenticabile”.

Quale sarà il futuro delle missioni spaziali?

“Dopo quasi 50 anni, sembra giunto il momento di levare l’ancora che ha trattenuto la specie umana in orbita intorno alla Terra. Quello che è stato solo un sogno per le generazioni del secolo scorso potrà diventare realtà per le ragazze e i ragazzi che fra qualche decennio raggiungeranno la maturità professionale.

“Il primo, significativo indizio di questo cambio di orizzonte è la presenza di diverse compagnie private che hanno iniziato a costruire veicoli spaziali. Significa che l’esplorazione del cosmo è uscita dai romanzi di fantascienza ed è diventata business, in grado di attrarre uomini d’affari e capitali.

“I primi a viaggiare a bordo di questi veicoli privati saranno gli astronauti della Nasa e delle altre agenzie spaziali, ma presto ci saranno anche scienziati e professionisti, che andranno in orbita per lavoro, così come le persone che lo faranno per puro diletto, veri turisti dello Spazio”.

È plausibile che in tempi brevi si colonizzi la Luna o si metta piede su Marte?

“Modificherei la domanda e parlerei di rimettere piede sulla Luna e colonizzare Marte. È ragionevole pensare che nei prossimi anni Cina e altri paesi possano tornare sulla Luna, magari per realizzare una base sulla superficie o, ancor più interessante, in una posizione stabile fra il nostro pianeta e il suo satellite, il cosiddetto punto di Lagrange Terra-Luna. La base lunare è ancora tutta da sviluppare, ma si potrà tener conto delle lezioni che abbiamo imparato operando sulla Stazione spaziale internazionale per oltre 15 anni.

“Per Marte si tratterà di una sfida nuova: per la prima volta gli astronauti dovranno tagliare il cordone ombelicale con la Terra e avventurarsi nello Spazio sapendo di poter contare solo sulle risorse del veicolo su cui stanno viaggiando e su quelle che riusciranno a trovare sul Pianeta rosso.

Una colonia marziana immaginata da Bryan Versteeg/MarsOneUna colonia marziana immaginata da Bryan Versteeg/MarsOne

“La prima sfida è lo sviluppo di un potente sistema di lancio come lo Space Launch System, senza il quale qualsiasi programma di esplorazione umana del Cosmo rimarrebbe sulla carta. La seconda è quella di realizzare un veicolo capace di raggiungere Marte e di ospitare gli astronauti durante i mesi necessari per il viaggio di andata e ritorno. La Nasa sta lavorando alla capsula Orion, che dovrebbe trasportare gli astronauti oltre l’orbita terrestre. La terza, forse quella con maggiori incognite, è la realizzazione di un habitat in cui gli equipaggi possano vivere sulla superficie marziana utilizzando le risorse locali.

“Questo sforzo, in prospettiva, potrà creare i presupposti per la colonizzazione del pianeta. Poi ci sono la visione di Elon Musk e il suo progetto di un sistema di trasporto interplanetario per colonizzare Marte in tempi rapidissimi. È probabile che queste due approcci si mescolino tra loro e si arrivi a un progetto comune, a metà strada fra quello pragmatico dell’agenzia spaziale statunitense e quello visionario di SpaceX“.

Lo Space Launch System e il Falcon Heavy illustrati da Nasa e SpaceXLo Space Launch System e il Falcon Heavy illustrati da Nasa e SpaceX

Crede nell’esistenza di un’intelligenza extraterrestre avanzata? 

“Parlare di vita extraterrestre o addirittura di civiltà aliene poteva sembrare fantascienza qualche decennio fa, quando non avevamo alcuna evidenza dell’esistenza di pianeti intorno ad altre stelle. Da quando le tecniche osservative hanno permesso di rilevare la presenza di pianeti extrasolari e i telescopi come Kepler hanno fornito dati sempre più attendibili, il numero di pianeti noti è cresciuto a dismisura; oggi ne conosciamo diverse migliaia, con alcune decine che sono comparabili con la nostra Terra, almeno in base alle dimensioni e alla distanza dalla loro stella.

“Le tecnologie attuali, però, non consentono ancora di sapere se questi potenziali cugini siano abitabili, né se ospitino specie evolute e intelligenti. Possiamo solo ragionare in termini statistici: con miliardi di stelle soltanto nella nostra Galassia e con miliardi di galassie oltre la nostra, è difficile pensare che siamo l’unica specie intelligente. Come diceva Carl Sagan, uno dei fondatori del progetto Seti: ‘Se fossimo soli nell’Universo sarebbe un enorme spreco di Spazio“.

Quali sarebbero le conseguenze culturali, sociali e scientifiche di un definitivo incontro ravvicinato?

“L’incontro con una civiltà extraterrestre potrebbe rappresentare il più importante evento della storia dopo l’evoluzione verso una società tecnologica, specialmente pensando a un incontro di civiltà e a una condivisione delle conoscenze scientifiche, delle arti e delle tecnologie. Allo stesso tempo, però, non si possono escludere i potenziali rischi di un imperialismo culturale e di conflitti distruttivi; una sorta di darwinismo interstellare in cui la specie meno adatta potrebbe essere annientata, culturalmente o addirittura fisicamente.

“Sono incline a pensare che una civiltà interstellare non possa esistere senza una corrispondente evoluzione etica. Una tecnologia avanzata ma priva di controllo causerebbe la distruzione di un’ipotetica specie, ben prima che possa raggiungere la capacità di viaggiare fra le stelle. Perciò sono ottimista sul valore positivo che un tale incontro avrebbe per entrambe le civiltà e sul fatto che prevarrebbe la cooperazione, non in base a un astratto altruismo, ma sulla base dell’interesse di ciascuna specie a collaborare per meglio sopravvivere alle insidie dell’Universo.

“Penso anche che l’aspettativa di questo contatto dovrebbe spingerci a ridurre la disparità tra di noi e a puntare su tecnologie avanzate e disponibili per tutti gli abitanti della Terra. L’umanità sarà presa in considerazione da eventuali civiltà extraterrestri non solo sulla base del suo avanzamento tecnico-scientifico, ma anche per la capacità di utilizzare in modo efficiente e sostenibile le risorse naturali del pianeta. Sarà il livello di civiltà – il rispetto della vita in tutte le sue forme – e non solo lo sviluppo tecnologico a determinare la nostra appartenenza a una possibile comunità galattica“.

Che cosa risponderebbe a Enrico Fermi e al suo famoso paradosso: “Se gli extraterrestri esistono, dove sono?

“Sulla base delle stime sul numero di stelle nella nostra Galassia e dalle valutazioni sull’esistenza di pianeti abitabili, potrebbero esserci migliaia di civiltà extraterrestri, magari su sistemi stellari più antichi del nostro e per questo molto più evolute della nostra. Basterebbero poche decine di milioni di anni perché queste civiltà siano in grado di raggiungere ogni angolo della nostra Galassia anche con astronavi più lente della velocità della luce. Perché allora non ne vediamo traccia?

“Mi piace pensare esista una specie di Prima direttiva alla Star Trek, per cui le civiltà più avanzate non interferiscono con quelle in fase di evoluzione, almeno fino al momento in cui quest’ultime non arrivino a possedere la tecnologia dei viaggi interstellari. È una delle teorie correnti per rispondere al paradosso di Fermi ed è nota come Zoo Hypotesis, l’ipotesi dello zoo. Per me ha il pregio di non fare appello alla specificità del nostro pianeta come invece accade con la Rare Earth Hypotesis, che suggerirebbe che pianeti simili alla Terra siano rari e quindi che l’umanità sia l’unica specie intelligente della Galassia. Se l’ipotesi dello zoo fosse vera, il XXI secolo potrebbe essere quello del contatto”.

La copertina originale del libro di Judith Reeves-StevensLa copertina originale del libro di Judith Reeves-Stevens

Prima l’ha evocato lei: nel 1966 il fisico Jeremy Bernstein fece notare come il futuro dei viaggi spaziali dipendesse dall’uso dei sistemi di propulsione nucleare. Da qui nacque il suo, di paradosso: una civiltà sempre più capace di gestire questa tecnologia, sarebbe anzitutto in grado di sopravviverle?

“Jeremy Bernstein partecipò al progetto Orione, che intendeva utilizzare l’esplosione di testate atomiche come sistema di propulsione per veicoli spaziali destinati all’esplorazione del sistema solare. Da allora l’idea di utilizzare l’energia del nucleo si è evoluta e oggi si pensa a motori al plasma capaci di sfruttare le reazioni che avvengono nel Sole per alimentare i motori delle future astronavi interplanetarie.

“Credo che il problema non sia nella tecnologia in sé, ma nella sicurezza e, soprattutto, nello sviluppo etico delle società che devono gestire tecnologie sempre più potenti e potenzialmente distruttive. Potremmo distruggere il nostro pianeta molte volte con l’arsenale nucleare ancora esistente, ma forse abbiamo superato quel pericolo e di certo abbiamo superato la necessità di utilizzare bombe atomiche per inviare astronavi nello Spazio.

“Possiamo puntare sulla fusione nucleare, una tecnologia più pulita, sicura e affidabile”.

Crede in Dio?

“No, non sono credente. Scienza e fede devono mantenersi separati, perché si occupano di due sfere diverse: l’una cerca di comprendere la complessità dell’Universo in cui viviamo, l’altra le cause prime. Quando questi due approcci si sono incrociati i risultati sono sempre stati negativi. A volte drammatici”.

Lei no, ma la stragrande maggioranza degli astronauti è un militare: parte essenziale dell’addestramento e della mentalità necessaria per affrontarlo, oppure dobbiamo preoccuparci?

“È accaduto di recente in Italia, ma non è vero in altre realtà; alla Nasa, per esempio, il ruolo di tecnici e scienziati si va espandendo anche pensando ai futuri programmi commerciali. È certamente vero che l’esperienza operativa può facilitare la fase di addestramento, ma non credo affatto che la provenienza militare sia essenziale per il mestiere di astronauta, visto che gli aspetti tecnico-scientifici stanno diventando preponderanti rispetto alle esigenze di pilotaggio.

“Lo Spazio diventerà sempre più un ambiente dove persone con diverse qualifiche andranno a vivere e a lavorare per un certo periodo, mentre gli astronauti professionisti saranno solo quelli richiesti per pilotare i veicoli spaziali, come accade oggi con il trasporto aereo”.

Ha mai visto un Ufo?

“No, non l’ho mai visto”.

Vuoi ricevere aggiornamenti su questo argomento?

Segui

- Advertisement -spot_img
- Advertisement -spot_img
Latest News

Il gps di Jannik Sinner, come funziona il dispositivo indossato agli Internazionali d'Italia

Agli Internazionali d'Italia 2025 al Foro Italico di Roma, Jannik Sinner torna protagonista e, questa volta, ha dalla sua...
- Advertisement -spot_img

More Articles Like This

- Advertisement -spot_img