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Ieri il Tribunale di Roma ha chiesto la chiusura di Uber Black, il servizio che fino a ieri era il più tollerato, quello di noleggio con conducente (Ncc). Con questa decisione Uber rischia di diventare totalmente illegale in Italia. Così, per l’ennesima volta, la magistratura è stata chiamata a prendere decisioni di politica industriale, di politica ambientale (Xylella), di politica sanitaria (Stamina) o di politica e basta.
Certo, si potrà dire – come si fa da Tangentopoli in poi in Italia – che c’è qualche magistrato in cerca di visibilità. Ma non mi sembra questo il caso. Uber esiste, nel mondo e nel nostro paese, da diversi anni. A Wired ricordiamo bene le prime due edizioni del Wired Next Fest (2013 e 2014) quando, per la sola colpa di ospitare rappresentanti di Uber, venimmo aggrediti, anche fisicamente, da gruppi di sedicenti tassisti con tanto di bombe carta, in una zona peraltro riservata ai bambini.
Sono passati quattro anni, praticamente un’intera legislatura, e siamo ancora qui.
E cioè ad aspettare che una sentenza di un tribunale decida circa il destino di una multinazionale in Italia. Non credo sia importante da che parte sia la ragione. Lo è da tutte e due le parti. I tassisti difendono il loro status quo e il loro lavoro (personalmente credo che lo facciano con metodi sbagliati) e Uber, come quasi tutte le aziende che usano le tecnologie per entrare in mercati consolidati, pone questioni che il regolatore non aveva considerato prima.
In mezzo c’è la politica. Che non fa l’unica cosa che dovrebbe fare e per cui esiste: decidere. Decidere come affrontare questo momento di forte passaggio. Un momento nel quale le tecnologie pongono problemi e opportunità occupazionali e in cui le arene competitive stanno cambiando velocemente: Enel si batte con Telecom Italia sulla banda larga, Amazon con Ikea per la vendita di mobili, Apple con Spotify per la distribuzione di musica, Eni con Bmw per il car sharing, Facebook con i giornali per la pubblicità, Google con le case automobilistiche che stanno sviluppando vetture a guida autonoma. Sono solo alcuni casi. Ce ne sono molti di più. Ce ne saranno sempre di più.
Al di là di quale sia la ricetta per affrontare questa fase, è necessario che la politica prenda in mano la situazione e decida. Non è semplice. Probabilmente le organizzazioni che i paesi si sono date nel XX secolo per governare non sono attrezzate: in un mercato globale fare una scelta solo in Italia potrebbe significare agevolare o penalizzare un soggetto più o meno del dovuto.
È il momento di mettersi insieme, di creare un tavolo di lavoro internazionale per affrontare le questioni che la tecnologia pone. E non vivere questa fase da struzzi, nascondendo la testa sotto la sabbia. Non stiamo parlando di tecnologia. Affrontare questi temi significa prendere di petto le questioni che riguardano le persone, la loro ricerca della felicità, della loro realizzazione. E riguardano la possibilità di affrontare le sfide che la contemporaneità, e non il futuro, pone.
Decidere. Non c’è più molto tempo.
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