lunedì, Gennaio 20, 2025

Cybersorveglianza, come le aziende (anche italiane) aiutano Iran e Sud Sudan

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Spy Merchants, una nuova inchiesta video di Al Jazeera pubblicata il 10 aprile, ha fatto luce sul mercato poco trasparente delle tecnologie di sorveglianza digitale e sul modo in cui aziende produttrici anche italiane riescono a concludere affari con clienti e governi di Paesi verso cui sono in vigore restrizioni e limitazioni, come nel caso di Iran e Sud Sudan.

Un giornalista sotto copertura del team investigativo dell’emittente di Doha si è finto un tramite tra clienti e fornitori per quattro mesi, avvicinando diverse aziende del settore, comprese le italiane Area e Ips e fingendo di lavorare per i governi di questi due Paesi. Il documentario mostra chiaramente quali siano gli stratagemmi per eludere le limitazioni, come concludere gli affari e quanti pochi scrupoli i produttori interpellati si facciano a vendere strumenti di controllo a governi non democratici che li possono utilizzare al fine di tracciare, hackerare e colpire dissidenti, giornalisti e attivisti. O per altri scopi repressivi.

Nel documentario viene raccontata come esempio la storia di Abbas Hakimzadeh, un attivista iraniano arrestato nel 2009 dal regime di Ahmadinejad e interrogato in carcere anche sulla base di elementi raccolti con strumenti di sorveglianza profonda in grado di dare accesso a mail, messaggi e altri contenuti. Di fatto, Hakimzadeh era statao hackerato e spiato a lungo. La tecnologia venduta dalle aziende al centro di Spy Merchants è della medesima natura di quella utilizzata contro il dissidente iraniano e la sua vendita verso zone a rischio come Sud Sudan e Iran è vietata o fortemente controllata da sanzioni europee ed embarghi sulle esportazioni.

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“Le tecnologie trattate nel documentario sono molto diverse fra loro”, spiega a Wired Fabio Pietrosanti dell’Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights, “gli Imsi catcher sono dei dispositivi tattici di intercettazione di telefonate cellulari che consentono, a chiunque ne abbia il possesso, di
ascoltare tutte le comunicazioni di chi si trova nel loro raggio di
azione. Possono essere usate tanto da governi quanto da criminali e
terroristi, sopratutto considerandone la facilità di acquisto”.

In Spy Merchants si parla anche di tecnologie più ad ampio respiro, in gradi di intercettare le telecomunicazioni su scala massima: “questi sistemi sono invece usati solo da governi, tipicamente in paesi dove la democrazia e la tutela dei diritti civili scarseggiano”, spiega ancora Pietrosanti, “e richiedono per la loro attivazione il posizionamento di infrastrutture informatiche di registrazione e analisi di traffico lì dove passano i cavi fisici che collegano diverse tratte di rete, tipicamente quelle nazionale con quella internazionale”.

Il documentario di Al Jazeera, in particolare, mostra esplicitamente come le aziende interpellate nell’inchiesta siano a conoscenza e altrettanto pronte a mettere in atto stratagemmi di varia natura per eludere i controlli e concludere le vendite di queste due tipologie di prodotti, senza mostrare alcun interesse nei confronti dei potenziali utilizzi in violazione dei diritti umani. Tra le due aziende italiane interpellate c’è la varesina Area, già nota per essere stata coinvolta in affari con il regime siriano di Assad per quanto riguarda le tecnologie dette duplici che possono essere utilizzate sia in ambito civile che militare.

Un’indagine italiana sul caso siriano è ancora in corso: le accuse sono di esportazione senza le dovute autorizzazioni ministeriali e di falso nella dichiarazione degli effettivi utilizzatori finali delle tecnologie – i servizi siriani – e sull’uso degli strumenti, militare e non civile. Durante un raid nella sede dell’azienda avvenuto nel 2016 sono stati sequestrati anche 8 milioni di euro.

Spy Merchants coinvolge nuovamente Area in una potenziale trattativa con compratori del Sud Sudan da concludersi con l’appoggio di un paese terzo, la Turchia, al fine di evitare le limitazioni, appoggiandosi a un partner dell’azienda produttrice. La romana Ips, invece, viene contattata nel documentario per una potenziale vendita in Iran. In questo caso l’azienda propone di appoggiarsi a un’altra compagnia a essa associata, Resi, e di fingere che il prodotto sia hardware destinato a operazioni civili di generica gestione e analisi delle comunicazioni, tacendo la reale natura del software installato. Dalle interviste incluse nel documentario emerge come la prassi sarebbe comune e già stata utilizzata in passato.

Nel documentario appare anche Marietje Schaake, deputata europea da sempre attiva su questi temi, per la quale i dialoghi immortalati nel documentario rappresentano “tra i più plateali ed espliciti riferimenti alla circonvenzione della legge”. Per l’avvocato Charles Giacoma, citato a sua volta nell’inchiesta, invece, quanto emerge dal video per il caso iraniano sarebbe in violazione della regolamentazione 428 del 2009 sull’uso duplice delle tecnologie. Resi (la cui risposta è citata nel documentario) si è difesa dicendo di non aver alcuna intenzione di concludere alcun reale accordo e che, qualora fosse stata sua intenzione, lo avrebbe fatta previo ottenimento di tutte le necessarie autorizzazioni legali. Ips, invece, ha inviato una lettera (a sua volta citata) ad Al Jazeera da parte dei suoi legali negando di aver mai tentato di vendere alcun prodotto o servizio all’Iran.

La Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), insieme all’Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights e Privacy International hanno inviato oggi una lettera dettagliata al ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, chiedendo delucidazioni sulla questione e maggiore trasparenza per il settore. “Per la vendita verso questi Paesi ci sono sanzioni europee, che l’Italia recepisce e applica, ed embarghi che limitano del tutto o in parte la vendita”, dichiara a Wired Antonella Napolitano di Cild, “la regolamentazione dei beni a uso duplice deriva dall’ordinamento europeo e, approvata nel 2009, è stata aggiornata successivamente e al momento, una possibile riforma è in fase di discussione”.

“Quello che chiediamo al governo italiano è un elenco di informazioni dettagliate in grado di chiarire l’entità delle esportazioni e le tipologie di tecnologie esportate e i paesi verso cui queste esportazioni avvengono”, aggiunge Napolitano, che aggiunge: “inoltre, riteniamo sia fondamentale maggiore trasparenza sulla concessione delle licenze e sulle procedure”. Lo scorso gennaio le medesime organizzazioni avevano già contattato il ministero in relazione alle attività di area in Egitto. In seguito a quella lettera, l’azienda si era vista revocare la sua autorizzazione a commerciare con il Cairo.

I dati richiesti dalla lettera congiunta di oggi sono importanti anche per quantificare l’estensione di questo mercato, spiega Pietrosanti, ma questo processo è ancora difficoltoso: “la dimensione economica del mercato della sorveglianza potrebbe essere teoricamente riscontrabile tramite l’analisi delle richieste di autorizzazione approvate dal Mise per l’esportazione di dette tecnologie. Tuttavia ciò non è possibile per due motivi principali, perché, in primis il Mise non è trasparente nel suo operato, non pubblicando
alcun transparency report su tutte le richieste di autorizzazione
all’export che normalmente prevedono da parte del richiedente
dell’indicazione del valore economico delle esportazioni”.

Secondariamente“, aggiunge ancora Pietrosanti, “come documentato dal documentario di Al Jazeera, è prassi per le aziende di questo settore agirare la legge per facilitare le vendite anche nei paesi presso i quali si dovrebbero richiedere autorizzazioni, vuoi dichiarando che gli oggetti venduti servono ad altri scopi (seppur rimanendo nell’ambito delle telecomunicazioni), vuoi non dichiarando niente ma operando tramite società terze intermediarie”.

Legittimo chiedersi se anche l’Italia utilizzi strumenti simili. Per Pietrosanti si tratta di tecnologie di utilizzo comune: “per quanto attiene all’utilizzo degli Imsi Catcher, sono sicuramente in dotazione delle agenzie di sicurezza che si occupano di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata. In merito ai sistemi di intercettazione di traffico internet, sono in uso in praticamente tutte le procure italiane e presso tutti gli operatori di telecomunicazione essendo un requisito di legge, ma con la sostanziale differenza che non operano su flussi massivi di traffico, ma operano su richieste della magistratura che devono sottostare ai criteri di proporzionalità sanciti dall’ordinamento giuridico italiano. Il giorno che in Italia fosse attivato l’utilizzo di un sistema di intercettazione massivo, come avviene oggi in Germania, Stati Uniti e Inghilterra, tutta la società civile nonché sono convinto anche la classe politica si attiverà per una azione di contrasto”.

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