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Come cambierebbe la vita delle persone se il 2% della popolazione mondiale, a un certo punto, scomparisse misteriosamente senza lasciare traccia? È questo il presupposto della serie The Leftovers e del romanzo da cui è tratta, scritto da Tom Perrotta. La serie è stata creata da Perrotta e da Damon Lindelof, noto soprattutto per essere stato lo showrunner di Lost: dopo due cicli, su Hbo domenica scorsa è iniziata la terza e ultima stagione, che però in Italia vedremo su Sky Atlantic dal prossimo giugno.
Per chi non l’avesse ancora vista c’è ancora tempo, dunque, per recuperare i venti episodi già andati in onda, prima degli otto conclusivi. Perché se forse nel nostro Paese non ha ottenuto l’attenzione e il risalto che merita (e anche negli Usa non ha avuto ascolti strabilianti), The Leftovers è un prodotto televisivo di grande fattura, in cui l’approfondimento psicologico si unisce a una capacità di storytelling sorprendente, che destabilizza in molte maniere lo spettatore.
Ripercorriamo allora insieme alcuni dei motivi per cui è bene prepararsi a un binge watching “salvifico” prima della stagione conclusiva.
1. È l’erede di Lost
Il tocco di Lindelof si sente eccome, ma è anche la storia ideata da Perrotta a avere molte similitudini con le vicende di Lost: anche in questo caso troviamo una comunità ristretta (nella prima stagione quella della città di Mappleton, particolarmente toccata dall’Improvvisa dipartita, nella seconda quella di Jarden, cittadina invece miracolosamente rimasta intatta) che deve fare i conti con un evento soprannaturale che nessuno sa spiegare. Eppure, ognuno dei protagonisti mette in relazione il misterioso accadimento con i propri inconfessabili segreti, scatenando dinamiche complesse e avvincenti.
Così come Lost, anche questa serie non dà molte risposte ai telespettatori, incrociando però i piani narrativi e disseminando di rimandi e indizi ogni scena: si viene a creare anche qui una sorta di mitologia. Questo grazie anche a un cast di attori piuttosto dotati. A parte Justin Theroux, che interpreta il protagonista Kevin (quasi sempre seminudo), impareggiabile è Ann Dowd, nel ruolo di Patti: è lei la donna spietata e manipolatrice a capo della setta dei Colpevoli Sopravvissuti. Il suo destino incrocerà anche quello della moglie di Kevin Laurie, intepretata da Amy Brenneman, e quello di Megan, ovvero una sorprendentemente espressiva Liv Tyler.
2. Non c’è nulla di accomodante
Come detto, tutti i personaggi affronteranno i propri traumi e le proprie tragedie, ma molto spesso il loro dolore è un mezzo per raggiungere una maggiore consapevolezza della vicenda. Non è di sicuro una delle serie più allegre in circolazione, dunque, ma coinvolge nel profondo chi la guarda e gli chiede anche un’attenzione non indifferente. Se vi piacciono le sfide poco accomodanti, The Leftovers fa per voi.
I fili da seguire sono infatti numerosi e ci sono incroci, collegamenti, salti temporali e di scena anche molto frenetici. Ma questo rende ancora più appassionante una serie i cui episodi sono sempre imprevedibili: a volte la trama prende strade totalmente sconnesse (almeno in apparenza) da quanto raccontato finora; alcuni episodi rinunciano all’ensemble per concentrarsi su un solo personaggio; la seconda stagione inizia addirittura con una sigla del tutto diversa e con 45 minuti dedicati a personaggi mai visti prima. Ma tutto serve al risultato globale.
Ci sono anche svolte più oniriche e surreali, come quando (piccolo spoiler) Kevin, la cui percezione della realtà è già minata dalla schizofrenia ereditata dal padre, finisce in una speciale di purgatorio per liberarsi definitivamente dell’influenza ossessiva che Patti esercita su di lui. Insomma, non ci si annoia mai.
3. Un sapiente mix di realismo e soprannaturale
Le premesse di questa serie potrebbero mettere in allerta i più allergici alle storie soprannaturali. In realtà The Leftovers funziona, soprattutto nella prima stagione, grazie al profondo scavo psicologico costruito attorno all’inspiegabile antefatto. Come reagiscono le persone alla scomparsa dei propri cari? Come affrontano l’angoscia, la rabbia o il rimorso?
Le conseguenze della Dipartita vengono tutte scandagliate: dall’alcolismo al tuffarsi nella religione, dall’organizzazione di terapie di gruppo all’istituzione da parte del governo di speciali dipartimenti incaricati di spiegare ciò che è successo ma soprattutto di vigilare su ciò che accade dopo, fra truffatori e richieste di risarcimento. La setta dei Colpevoli Rimasti è il caso più esemplare e suggestivo: un gruppo di persone che si vestono solo di bianco, fumano in continuazione e rinunciano a parlare (esprimendosi solo con scritte su fogli), agiscono in modo da far ricordare costantemente a tutti ciò che è accaduto, anche in modo brutale.
Ma il realismo sta anche nell’approfondimento dei tormenti che caratterizzavano le vite dei protagonisti prima ancora delle scomparse: adulteri, malattie mentali, turbe adolescenziali e quant’altro. Non il solito drama, però, qui tutto assume una chiave interpretativa che lega le responsabilità individuali al destino comune.
4. Una metafora sul fanatismo
Un altro forte parallelo con Lost possiamo trovarlo nel legame con la religione. Non che tutto venga spiegato su basi teologiche o altro, ma una sorta di misticismo alleggia su tutte le vicende, dove non mancano riferimenti biblici e altri tentativi di spiegare con la fede il soprannaturale. La città di Jaden, al centro della seconda stagione perché risparmiata in toto dalle scomparse, è un luogo che diventa una sorta di Terra Promessa, in cui molti credono di essere stati salvati per la propria dirittura morale (ma questo comporterà anche devianze e violenze pesanti). Un personaggio molto legato alla religione è Matt, il fratello di Nora, la nuova compagna di Kevin: lui è un prete episcopale che vede la propria fede messa a dura prova a causa della malattia della moglie causata proprio dalla Dipartita.
Ma più in generale The Leftovers è anche una riflessione sulla propagazione del culto e del fanatismo: i Colpevoli Rimasti sono appunto un esempio estremo di come si può avvincere le persone attorno a un’idea e assoldarle ai fini più biechi. Nel corso degli episodi si incontrano poi altri mistici, come il Santo Wayne e il divinatore Isaac che riescono a convincere molti, a torto o a ragione, dei loro poteri superiori. Come se la religione o più in generale la fede non solo non fosse più sufficiente a spiegare i fenomeni ma fosse anche un’arma per distogliere le persone dalla verità.
5. La speranza
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In una dimensione che ha quasi l’aspetto di un mondo post-apocalittico, anche se a grandi linee la vita continua tranquillamente come prima, i nostri personaggi cercano in qualche modo delle risposte. Verso la fine della seconda stagione si intuisce che la maggior parte di queste risposte possono venire appunto da Kevin, anche se non si capisce esattamente come.
Nel trailer diffuso sulla terza stagione, sulle note di Sos degli Abba, vediamo i protagonisti trasferirsi improvvisamente in Australia, dove il padre di Kevin preannuncia l’arrivo di un’ulteriore e più grande catastrofe nel settimo anniversario della Grande Dipartita, avvenuta originariamente il 14 ottobre 2011. Che Kevin abbia un ruolo messianico in tutto ciò? È ancora da capire e noi lo scopriremo solo dal giugno prossimo su Sky Atlantic, ma nel mentre c’è tutto il tempo per rimettersi in pari ed elaborare una propria teoria.
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