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Il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, ha detto in diretta al Tg3 che non vuole i turisti delle selfie. “Invito la gente a venire qui per vivere le nostre montagne, il nostro ambiente… che sono straordinari. Ma nessuno venga qui a farsi i selfie sulle macerie perché un po’ mi incazzo”. Poi ha aggiunto: “Oggi ne ho visto qualcuno e l’ho scacciato in malo modo. Nessuno venga a farsi le foto sulle macerie di questa terra”. Più che un monito, una minaccia.
Si sottintende che le selfie siano qualcosa di oltraggioso, e che lo siano perché intrinsecamente ludiche anche quando l’argomento è tragicamente serio. Ma è davvero così? O forse le selfie semplicemente non appartengono alla cultura e alla mentalità della generazione di Pirozzi, che le esclude dal proprio immaginario tragico?
Una mostra analizza, proprio in questi giorni, a Londra, la storia delle selfie, credo allo scopo di farci capire cosa siano, visto che questo strumento relativamente nuovo si è imposto in modo così granitico nelle nostre vite.
Si parte dagli autoritratti dei grandi artisti, i soli, si spiega, che un tempo avevano gli strumenti per rappresentare se stessi. Ecco, forse qualcuno ha mai pensato che l’espressione seria di Van Gogh, che mostra il suo volto con l’orecchio amputato, sia stato un messaggio puramente edonistico e allegro? Non credo. Si prosegue con Rembrandt, Picasso, Munch, Courbet, Schiele e Kahlo. E poi, Francis Bacon, Jean-Michel Basquiat e Tracey Emin.
Come osserva il Guardian, l’obbiettivo ultimo della mostra è spiegare che la selfie non è poi quella gran novità.
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Il curatore ha detto: “Vi confesso che prima di questa mostra non mi ero mai fatto una selfie, è una questione generazionale. Poi come ci entri in confidenza inizia a far parte delle cose normali”. Il punto è forse proprio la vecchia regola, sempre valida, per cui ai “vecchi” le cose nuove non piacciono, non perché non possano essere belle (o utili o positive) ma solo perché la nostalgia della loro giovinezza non le include.
Ma, in generale, è anche vero che le cose nuove, o fuori posto-mentale, ci mettono sempre sull’attenti. Faccio un esempio. Sono una giornalista, e anni fa, in viaggio in Kenya, ebbi la curiosità di visitare un famoso slum del Kenya, a Nairobi. L’esperienza fu drammatica e importante per me, ma non necessariamente in quanto giornalista. Poco dopo lessi che la “moda” di visitare gli slum si era diffusa tra i turisti, portando (guarda un po’) non poche polemiche. Come si permettono questi turisti ricchi di andare a fotografare i bimbi poveri? E io, che ero lì anche per lavoro, ero immune da queste critiche? Semplicemente, l’ordine psicologico delle cose non accetta compromessi e, per prassi, il turista rispettoso al massimo visita un museo. Punto. Non può voler vedere con i propri occhi le conseguenze di una tragedia importante come un terremoto, né – sia mai! – voler comunicare a modo suo questa esperienza al mondo. Perché no? Perché qualcuno ha deciso che le selfie sono stupide.
Lo sfogo del sindaco di Amatrice continua a trovare consensi – siamo o no un Paese di vecchi? – e un prestigioso plauso è arrivato su Twitter anche dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Tutta la solidarietà possibile a Sergio Pirozzi: non si trasformino le tragedie e il lavoro di questi mesi in curiosità o souvenir
— Nicola Zingaretti (@nzingaretti) 17 aprile 2017
Io penso che le selfie possano sicuramente essere stupide, per carità. Ma non necessariamente. Un cittadino comune oggi può decidere di immortalare lo scenario di un fatto di cronaca e se crede di includere se stesso, perché no? Può e deve avere la libertà perché siamo un Paese libero, almeno si spera. E se un sindaco minaccia e s’incazza non fa altro che mettere a rischio quella stessa libertà. La tecnologia e l’istruzione hanno reso accessibili e diffuse tante cose, comprese quelle prestigiose come il giornalismo (detto partecipativo) e l’arte. Normale, ma non condivisibile, che qualcuno faccia resistenza.
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