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Dopo che Iron Man sì è incupito, i Vendicatori ridotti si sono ridotti a un coacervo di litigi e considerando che Thor non è mai stato un gigante di simpatia, Guardiani della galassia vol. 2 si presenta come l’ultimo avamposto dei Marvel Studios che conoscevamo. In attesa di vedere il trattamento riservato al ritorno di Spider-man nello studio madre, con questo secondo film James Gunn conferma di essere al momento l’unico a portare avanti una politica di spensieratezza e intrattenimento leggero dalla fattura impeccabile in uno studio che con i suoi personaggi più importanti sembra aver virato sul serioso.
Invece Guardiani della galassia vol. 2 fin dai suoi titoli di testa ribadisce di essere la fanciullezza fatta film, e anzi con il nuovo personaggio di Baby Groot aggiunge esattamente quel che mancava, un punto di vista infantile.
Quel che infatti distingue questa saga dalle altre è la maniera in cui somigli ad una versione sofisticata di un cartone animato, uno di quelli pensati per la televisione e non per il cinema.
Invece che basarsi sul linguaggio dei fumetti o su quello dei film d’azione o di fantascienza come fanno in molti, James Gunn si ispira all’animazione seriale, mette in campo battute, assurdità, gag ma anche luoghi e figure tipiche dei cartoni animati unendoli alla serietà di chi ama l’avventura.
Certo alla fine questo secondo film non riesce nell’impresa di portare sullo schermo l’equilibrio tra tutte le componenti che aveva così impressionato nel primo, quel modello aureo di intrattenimento, risate, musica, sentimento e avventura, ma rimane uno dei migliori esempi di blockbuster di cui si possa fruire.
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Come nei cartoni questa volta l’avventura principale è quella di Starlord e gli altri personaggi gli orbitano intorno, come aiutanti e amici. C’è un’entità nuova, un Celestiale interpretato da Kurt Russell (non casualmente una grande icona anni ‘80 e nemmeno l’unica a fare capolino), praticamente un dio di quelli che hanno contribuito a dare forma alla galassia che attira la gang su un pianeta che si scopre subito essere egli stesso. Ha creato il pianeta Ego, quindi lo anima e, a tutti gli effetti, lo è. Starlord sarà attirato da lui e ammaliato dalle varie scoperte sul suo conto mentre gli altri esplorando il pianeta ne scopriranno il lato meno conciliante.
Non manca una colonna sonora che, come per il primo, riscopre e rispolvera la musica anni ‘80 ma la parte del leone la fanno le assurdità e le gag paradossali in stile animato. C’è anche una morale nel finale, che stona un po’ con l’acume del resto della sceneggiatura e ricorda i cartoni più inquadrati.
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Sta tutto lì il problema del film, il suo sentirsi in dovere di replicare i punti di forza del primo, dalla già citata colonna sonora fino ai riferimenti alla pop culture anni ’80. Tutto è un po’ più forzato e meno armonico. Al contrario invece il meglio di sé James Gunn lo dà nelle sequenze più spensierate, nella maniera in cui riesce a presentare qualcosa di pericoloso che tuttavia i personaggi non sembrano percepire come tale. È la sottile arte di rendere l’avventura desiderabile come una scampagnata con gli amici, trasformare un piccola guerra mortale in una piacevole partita di calcetto, in cui l’inimicizia è solo di facciata, in cui la rivalità è propedeutica al divertimento. È così nella bellissima sequenza dei titoli di testa, la più rivelatoria, quella che tiene Baby Groot in primo piano nelle sue peripezie da bambino mentre nello sfondo il resto dei Guardiani combatte un mostro gigante di tanto in tanto preoccupandosi di cosa stia facendo Groot, come fossero i suoi genitori.
Sta tutta lì la personalità di Gunn, cioè la maniera in cui guarda questa storia, la sua idea di grande film d’intrattenimento: essere baby Groot, essere quel bambino che si diverte a stare con i grandi, che senza responsabilità, senza peso, senza timore alcuno gode dell’eccitazione trasmessa nel seguire le peripezie dei Guardiani della galassia. È lui, James Gunn, quell’esserino che attacca la musica e gironzola sulla piattaforma in cui gli altri combattono, un po’ gli dà attenzione e un po’ no.
È difficilissimo riuscire in una simile impresa, centrare cioè così bene questo punto di vista, quella posizione così conveniente per guardare gli eventi e, nonostante questo secondo film non possa essere considerato a livello del primo, è lo stesso un piacere da guardare.
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