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Abbiamo incontrato la coprotagonista della serie Marvel, in onda su Fox, al Napoli Comicon. E ci ha raccontato tutto sui mutanti
In Legion, la serie in onda su Fox e ispirata all’omonimo fumetto Marvel, Rachel Keller interpreta una ragazza affetta da aptofobia, la repulsione per ogni contatto fisico, e chiamata Syd(ney) Barrett.
È la coprotagonista della prima stagione (di otto puntate), una figura chiave per raccontare la storia di David Haller, il mutante dalle capacità psichedeliche interpretato da Dan Stevens.
Considerando che nelle pagine originarie il personaggio di Syd non esiste, non è forzato dire che a Keller sia per certi versi stato affidato il codice per decrittare uno show tanto innovativo, in termini di messinscena, quanto non semplice da digerire. Esattamente come le composizioni di quello splendente diamante pazzo di pinkfloydiana memoria di cui il suo personaggio porta il nome.
Ideato e prodotto da una vecchia conoscenza dell’attrice, quel Noha Hawley già al lavoro con lei ai tempi del Fargo televisivo, Legion sembra calzare a pennello su una bionda e tranquilla ragazza classe 1992 che, nata a Los Angeles ma cresciuta in Minnesota, dice di nascondere in realtà più un’ombra.
Ma di essere intenzionata a fare luce su tutto.
Ospite d’onore al Napoli Comicon 2017, ci ha spiegato personalmente come e perché.
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Il suo è un personaggio creato per lo show, che tuttavia si basa su un fumetto Marvel. Quanto, per voi attori, gli albi sono stati utili alla preparazione dei personaggi?
“Ovviamente non ho utilizzato i fumetti per avere un’idea del personaggio, ma nemmeno per trarre indicazioni sulla storyline.
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Sono stati però fondamentali per scovare il giusto mood della storia, se vogliamo i suoi colori. È come se avessimo preso i tratti salienti dei protagonisti e li avessimo portati fuori dal loro mondo, dentro un universo narrativo nuovo. Il fumetto è stato utile per capire quali fossero i problemi e le motivazioni psicologiche dietro i personaggi e trasportarli in una storia originale”.
La narrazione di Legion è complessa e non rispetta alcuna linearità. Una sfida dal punto di vista interpretativo?
“Credo che una delle caratteristiche migliori della serie consista nel fatto che il tempo non è importante, né lo sono i luoghi, o l’ordine narrativo. Da attori, la cosa fondamentale era allora fare a meno di tutti questi riferimenti e valorizzare l’esperienza, il feeling. Credo Legion sia una sorta di cavalcata in grado di agganciare lo spettatore dal punto di vista emotivo, facendo percepire il disorientamento dei protagonisti.
Non nego che da attrice mi sia trovata più di una volta nella condizione di non ricordare in quale punto della timeline stessi recitando, in quale dimensione o addirittura posto. Ma ha fatto tutto parte del divertimento; il nostro lavoro si basa sull’essere presenti e ascoltare. Per farci attraversare dalle emozioni. Per paradosso, Legion aveva le condizioni ideali”.
Cosa l’ha attratta del copione, tanto da farle interpretare il ruolo di Syd Barrett?
“Da una parte, il fatto che avessi già lavorato, su Fargo, con Noha – Hawley, scrittore e sceneggiatore, nonché ideatore e produttore di Legion, ndr – e che mi fidi ciecamente di lui. Non solo è una persona di grande intelligenza, ha una leadership calma, in grado di infondere fiducia in chiunque lo accompagni in un progetto. Motivo per cui mi sento di dire che qualsiasi cosa facesse, lo seguirei.
“In secondo luogo per il tipo di storia raccontata, quella di giovani che si sentono strani, diversi. Visto che per prima a volte mi sento così, quasi che le cose che mi rendono quel che sono fossero sbagliate, ho sposato l’idea di una serie che riflettesse sul disagio mentale e sul processo di crescita”.
Il suo personaggio soffre di afefobia: crede che a qualcuno, nel pubblico, magari timoroso di affrontare il mondo, Legion possa fare bene?
“Ne sono quasi certa: dopo aver visto Legion, in molti con problemi simili a Syd, persone affette da aptofobia o ansia sociale, mi hanno scritto dicendo di aver trovato una connessione profonda con il personaggio e di esserne stati spronati. Per alcuni di loro è come se la serie si fosse tradotta in un incoraggiamento a condividere qualcosa con qualcun altro.
“Credo che uno degli aspetti migliori di Legion sia insistere sulle comuni imperfezioni. Non esiste chi sia immune da paure o difetti: Legion ricorda come si possa semplicemente accettare quel che si è”.
A questo proposito credo sia opportuno ci dica qual è la funziona narrativa di Syd.
“Prima di tutto vorrei sottolineare come nella serie sia piuttosto difficile distinguere i buoni dai cattivi. E la cosa riguarda anche David, il protagonista. In questo senso Syd rappresenta una medicina, se non una cura. Arriva a sacrificarsi per l’uomo che ama. Lo capisce, perché dopo lo scambio di corpi della prima puntata, una parte di lei vive nel cervello di lui e viceversa, in un modo per entrambi mai vissuto prima. Per questo credo che attraverso Syd si esprima un rapporto profondo, di scambio e comprensione con l’altro da sé”.
Come ha lavorato con Dan Stevens per caratterizzare un rapporto così peculiare, direi unico?
“Siamo diventati amici. Dan ed io ci piacciamo molto umanamente e ci fidiamo l’uno dell’altra, tanto da trovarci anche nei giorni di pausa per pranzare o fare cose insieme. Soprattutto per chiacchierare. È la situazione ideale quando l’obbiettivo è rappresentare un rapporto romantico, una connessione profonda ma intellettuale, che prescinda da ogni contatto fisico.
“Con il senno di poi, direi che la relazione amorosa fra i nostri due personaggi è fra le più interessanti che possa immaginare. Quante volte abbiamo visto o sentito raccontare un rapporto? Be’, mi piacerebbe vederne un altro che imponga di non toccare il proprio partner”.
Piattaforme come Amazon o Netflix hanno cambiato il modo di raccontare una storia, ma anche quello di fruirla. Che cosa ne pensa?
“Credo stiamo vivendo la golden age della televisione. Il panorama di possibilità e contenuti è meraviglioso e per di più vasto.
“Legion lo dimostra: se infatti penso ad abitudini come il binge viewing – una modalità nuova e introdotta proprio dalle piattaforme nominate – credo di poter dire che FX – con Marvel e 26 Keys, la casa di produzione, ndr – e Legion in particolare prediligano una suddivisione in puntate settimanali. La serie è troppo densa di contenuti per essere vista tutta in una volta; la quantità di dettagli significativi è così alta da richiedere una certa concentrazione per essere goduta appieno. Io per prima ho difficoltà a notarne ogni minuzia.
“Già solo la possibilità di vedere uno show come si vuole dice molto dei nostri tempi. Si pensi a quanto un appuntamento settimanale possa diventare un rito, da condividere con altri. Ecco, ho visto Fargo e Legion con altre persone, con parenti e amici. E ogni volta siamo stati in grado di notare dettagli che qualcun altro non aveva visto.
Legge i fumetti?
Sono ferma a Calvin & Hobbes – striscia di grande successo firmata da Bill Watterson e pubblicata fra il 1985 e il ’95, in Italia su Linus, ndr – e ho anche evitato di leggere il Legion della Marvel, con lo scopo di arrivare sul set senza preconcetti e dando qualcosa di nuovo, forse anche una sfumatura imprevedibile al mio personaggio.
Perché crede che in questo preciso momento le storie di uomini dotati di poteri straordinari siano così popolari?
Perché ritengo che in senso metaforico non facciano che raccontare storie di giovani con un gran bisogno di credere di più in se stessi, uomini e donne con la necessità di trasformare le proprie stranezze in un punto di forza.
Ha paura del futuro o crede la tecnologia non farà che renderlo radioso?
Partirei usando l’esempio dei social media: non ne sono particolarmente coinvolta. Sono convinta possano ferirmi più che tornarmi utili; riescono a mettermi in testa quelli che chiamo i “dovrei”: “dovrei fare questo, dovrei indossare quello, dovrei andare là con la tale persona”? e credo di avere già abbastanza pensieri di mio.
“Per questo, e in generale, tento di fare un uso a me congeniale della tecnologia: per studiare, scrivere, conoscere, guardare e scoprire cose nuove. Mi sembra in qualche modo siamo noi a rincorrere le ultime novità tecnologiche; credo sia più opportuno trattarle con la medesima cura e la stessa prudenza che dedichiamo a qualcosa che ha a che fare con noi tutti i giorni. In caso contrario, immagino correremo qualche rischio. Mi vengono in mente l’intelligenza artificiale e il fatto che sembra possa sognare. È meraviglioso e insieme inquietante.
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