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Feng Xiaogang ha un rapporto speciale col Far East Film Festival: il regista vanta infatti una partecipazione quasi ventennale alla kermesse, iniziata nel lontano 1999 con Be There Or Be Square. Nel corso degli anni a Udine sono stati presentati molti dei suoi lavori, tra cui A World Without Thieves (2004), The Banquet (2006), Assembly (2007) e il grande successo commerciale If You Are the One (2008). Con Aftershock (2010), dramma sul terremoto di Tangshan, lo ‘Spielberg cinese’ ha conquistato un Audience Award, per poi tornare tre anni dopo con Personal Tailor (2013).
Questa diciannovesima edizione della rassegna ha rappresentato un duplice momento di celebrazione per il cineasta: prima della proiezione della sua ultima fatica I Am Not Madame Bovary, infatti, Feng ha ricevuto il Gelso d’Oro alla Carriera, mostrandosi visibilmente commosso durante gli applausi calorosi che hanno accompagnato la cerimonia. Si tratta di un riconoscimento importante, condiviso con la star del cinema hongkonghese Eric Tsang, l’altro grande ospite della manifestazione. Le due celebrità si aggiungono quindi alla ricca lista di premiati, tra cui figurano Joe Hisaishi, Jackie Chan, Sammo Hung e Johnnie To.
Sicuramente uno degli aspetti più interessanti di I Am Not Madame Bovary è la scelta di adottare inquadrature dal taglio insolito (circolare o quadrato), alternate a seconda dell’ambientazione delle scene. Feng Xiaogang ha rimarcato come non sia stata solo una scelta stilistica puramente estetica: la protagonista rimane intrappolata in un circolo di avvenimenti che nascono da dettagli insignificanti, “come una piccola palla di neve che, rotolando, finisce col provocare una valanga”, ha spiegato il regista. Ed in effetti, l’opprimente realtà della provincia in cui si svolge parte dell’azione (che sembra soffocare anche lo spettatore oscurando una buona percentuale dello schermo) è contrapposta all’ottusità rigida e tetragona della burocrazia di Pechino, rappresentata con il formato rettangolare. L’autore ha sottolineato che “l’idea di circolarità è molto cinese, e costituisce inoltre un richiamo alle illustrazioni tipiche della dinastia Song”, le medesime visibili nel prologo del film. Si può considerare un approccio indubbiamente rischioso, soprattutto non conoscendo la reazione del pubblico a un’impostazione per certi versi abbastanza radicale. Ma anche in questo caso il cineasta ha sempre avuto le idee molto chiare: “Bisogna sperimentare per guidare il pubblico e non farsi guidare dal mercato, è un azzardo e confidi nella risposta del pubblico, ma se non provi non saprai mai”.
I Am Not Madame Bovary è anche una robusta prova di scrittura, grazie all’adattamento del romanzo dello scrittore Liu Zhenyun, che ne ha curato la trasposizione. Feng ha evidenziato il suo rapporto privilegiato con lo sceneggiatore: “E’ un amico. Il suo romanzo è umoristico, e io apprezzo come qualità l’humour”. Con un colpo di teatro degno di uno dei suoi lavori, il regista ha poi salutato fra il pubblico Liu Yulin, figlia di Zhenyun, in concorso al festival con la sua opera prima Someone To Talk To, basata proprio su una sceneggiatura del padre. Il cineasta ha scritto in prima persona molti dei suoi lungometraggi, spesso in coppia con l’altro suo storico partner Wang Shuo, e ha così chiarito meglio il suo ruolo nel processo creativo di stesura dello script: “Ho bisogno di comunicare, parlare. Wang Shuo preferisce scrivere assieme. Liu Zhenyun, invece, ama il confronto ma poi si ritira per elaborare il tutto da solo. Inoltre preferisce visitare personalmente i posti in cui ambienta le sue storie. Sicuramente questa è la parte creativa più divertente e che apprezzo maggiormente, dopo arriva la fase delle riprese in cui sei costretto a confrontarti con una montagna di problemi da gestire e risolvere”.
In fase di chiusura Feng ha ricordato con un po’ di nostalgia i suoi esordi nel mondo del cinema. “All’inizio sono stato assistente scenografo e produttore, ma non credevo di diventare regista. Però amavo la vita sul set, in particolare viaggiare per visitare le location. Ho iniziato a confrontarmi con i registi, spesso indispettiti dalle mie intromissioni con cui cercavo di suggerire il mio punto di vista. Alla fine ho capito che volevo fare quel mestiere. Adoro la libertà del lavoro di scena, e non potrei mai svolgere mansioni da ufficio”. Questa esperienza autobiografica dovrebbe confluire nel suo prossimo film Youth, attualmente in post-produzione e pronto ad uscire in Cina forse ad inizio ottobre: “Narra l’esperienza comune di oltre venti anni nell’esercito di due amici, uno scenografo e uno scrittore. L’esercito è un ambiente particolare, che mi ha segnato. Forse non è così bello come appare nel film attraverso il filtro dei ricordi, ma rappresenta la mia gioventù. Volevo realizzarlo da tempo, e il risultato finale è dettato anche dall’età in cui l’ho portato a termine. Mi è sembrato come tornare indietro nel tempo”.
Prima di concludere l’incontro c’è stato anche il tempo di lasciare un consiglio prezioso ai giovani che si avvicinano al mondo del cinema: “Scegliete le storie che amate, che sentite vostre. Questo conta più di ogni altra cosa”.