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Non c’è niente di più tipico del grande attore che si imbruttisce, specie se molto bello. L’attore con un fisico scolpito che ingrassa a dismisura, che fa di tutto per demolire il mito della propria bellezza per affermare quello della propria bravura. Come se le due cose fossero collegate. È una pratica che rientra nel grande catalogo delle “trasformazioni” fisiche che costituiscono il vademecum del buon attore ad Hollywood, una mitologia della deformazione a cui in America credono in molti ma che nella realtà ben sappiamo non fare necessariamente il paio con una grande prestazione. Anzi, a dirla tutta, l’attore che riesce a convincere di essere trasandato con una postura, dei gesti, un modo di porsi e di parlare invece che cambiando il proprio corpo, dimostra una potenza e una capacità di interpretare (cioè non “imitare” ma comunicare qualcosa agendo per finta) molto superiori.
Fatto sta che come in tempi recenti Christian Bale per American Hustle o Charlize Theron per Monsters ma anche in tempi più remoti Robert De Niro per Toro Scatenato o ancora più indietro Marlon Brando per Il Padrino, anche Matthew McConaughey ha deformato il proprio fisico per interpretare un personaggio reale, la vera storia di un cercatore d’oro moderno, erede di una famiglia di grande tradizione mineraria che, dopo aver distrutto l’azienda con pessimi investimenti, segue il proprio istinto trovando un filone d’oro dove nessuno credeva ci fosse, il più grande del mondo.
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È una storia di borsa, di finanza, di affari, di sogni americani ma anche di truffe e di esagerazioni. È una storia nello stile di The Wolf of Wall Street, tutta alcol consumato a fiumi e delirio di onnipotenza economica. Un fiume in piena coinvolgente ed appassionante.
Ma è anche una storia palesemente costruita intorno alla propria star, pensata per Matthew McConaughey, per farlo agire forte della sua nuova pancia tonda enfatizzata dalle camicie strette e dei suoi pochi capelli, squallido con una dentiera che gli fa i denti storti. Laido e costantemente ubriaco, con occhi iniettati di invidia e cupidigia si aggira per il film dandogli anima. È indubbio che sia uno spettacolo in sé, qualcosa di molto bello da vedere ma anche il limite principale di un film che si appoggia sempre a lui per ogni soluzione.
Nonostante Gold abbia una storia e un intreccio fantastici, così assurdi, paradossali e imprevedibili come solo le storie realmente accadute sanno essere, lo stesso il film non ha l’autonomia che potrebbe avere ma rimane sempre appeso al proprio protagonista.
Significa che in questa storia non esiste nulla che non giri attorno al protagonista, perno di tutto, che non ci sono soluzioni di racconto, idee di fotografia e o trovate di montaggio usate per dare senso alla parabola di un imprenditore dell’oro degli anni ‘80 che desidera tantissimo essere interprete del sogno americano. C’è solo l’interpretazione di Matthew McConaughey a farlo e per quanto sia una gran dimostrazione di capacità e abilità nel calamitare sguardi e attenzione del pubblico, è un po’ limitante.
Leone grande e grosso in un film che inevitabilmente risulta piccino, ripiegato com’è su di lui (basti vedere cosa ha fatto in vece Scorsese in The Wolf Of Wall Street costruendo intorno a Di Caprio un mondo di personaggi, atteggiamenti e dettagli coinvolgente quanto il suo protagonista), McConaughey impone la sua legge di ferro, fa il bello e il cattivo tempo e se la gode. Gode di ogni piccola pausa, prende il tempo che gli serve per ogni battuta, si appassiona a mille piccole espressioni anche quando non sarebbero richieste. Perché, come probabilmente sa meglio di chiunque altro, in Gold lo spettacolo non è il film ma lui che lo interpreta, lo show di un attore bravissimo libero di spaziare e dominare la messa in scena.
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