domenica, Ottobre 6, 2024

Incontro con Hirokazu Kore-eda per Ritratto di famiglia con tempesta

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Hirokazu Kore-eda è in Italia per un mini tour promozionale per il lancio nelle sale di Ritratto di famiglia con tempesta, presentato nella sezione Un Certain Regard allo scorso Festival di Cannes e ora atteso nei cinema italiani dal 25 maggio. Dopo essere sbarcato a Milano e prima di raggiungere Torino, il regista – spesso accostato a Yasujiro Ozu, ma il suo punto di riferimento è Mikio Naruse – ha fatto tappa oggi a Roma: la mattina alla Casa del Cinema, dove ha incontrato la stampa per parlare del suo film in compagnia di Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche della Tucker Film (la casa di distribuzione che farà uscire la pellicola in circa venti sale sparse nei capoluoghi di provincia), poi la sera al cinema Nuovo Sacher insieme a Nanni Moretti per una proiezione-evento riservata al pubblico.
La difficoltà di diventare gli adulti che, da bambini, avevamo sognato di diventare: è l’assunto da cui prende forma un lavoro con sfumature autobiografiche in cui Kore-eda riflette sul senso di inadeguatezza, forse il male più grande che possa tormentare un individuo.
Il film ruota attorno alla figura di Ryota e ai risvolti a cavallo tra dramma e commedia del suo fallimento esistenziale: ex romanziere che si è ridotto a fare l’investigatore privato per sbarcare il lunario, scommettitore spavaldo ma con uno scarso fiuto per le vincite, ex marito ancora innamorato di una donna che però sta pensando di rifarsi una vita con un altro, padre premuroso ma imprudente di un bambino che incontra solo di rado perché non riesce a pagargli gli alimenti, figlio immaturo di una donna anziana ormai rassegnata a vederlo condurre una vita compromessa dal vizio del gioco, l’uomo è la figura attraverso cui il regista imbastisce una delle sue specialità: la disamina minuziosa e realistica dei rapporti famigliari, questa volta nel contesto di un nucleo in cui ogni membro, a partire dal protagonista, si misura con le proprie aspirazioni mancate. Una radiografia soprattutto delle dinamiche padre-figlio e marito-moglie, fatta di parole non dette e di sentimenti trattenuti come è nello stile minimale del regista che ti lascia sempre addosso la sensazione di una profonda umanità.

Di seguito abbiamo raccolto le dichiarazioni di Kore-eda durante la sua conversazione con la stampa in cui ha parlato del film, della sua preparazione, degli aspetti autobiografici in esso contenuti, del prossimo lavoro in cui cambierà registro e del rapporto speciale con l’Italia.

La vita dentro il cinema. “Negli ultimi dieci anni la mia vita è stata segnata da un evento drammatico: la perdita di mia madre. Dopo la sua morte, ho iniziato a domandarmi se come figlio fossi stato davvero all’altezza delle sue aspettative. Poi con la nascita di mia figlia anch’io sono diventato genitore e la perdita di mia madre è stata colmata dal suo arrivo. Nelle nostre vite è sempre così: colmiamo quello che viene a mancare con qualcos’altro che arriva dallo scorrere del tempo. Queste vicissitudini hanno fatto nascere in me un sentimento forte che ho voluto riversare nei miei ultimi lavori incentrati sulla famiglia”.

Come prende forma un mio film. “Quando lavoro a un film, non so bene quale strada prenderà la storia. A mano a mano che scrivo la sceneggiatura, scopro nuovi aspetti che non avevo pianificato: comincio a pensare ai personaggi e a come posso intessere la loro presenza all’interno di determinate di situazioni, creando una serie di interazioni e ‘reazioni chimiche’ che poi mi piace molto osservare, un po’ come si fa con la fiction o i documentari. L’obiettivo non mi è chiaro all’inizio, strada facendo a volte mi sembra di capire quale possa essere il punto di arrivo, altre volte invece qualcosa che mi sembrava chiaro poi svanisce. Ed è per questo che spesso quando sono sul set mi sento come se brancolassi nel buio. Cerco quindi sempre di capire come ottenere qualcosa di buono da questa condizione di incertezza, come sfruttarla in positivo per il film”.  

I temi di Ritratto di famiglia con tempesta. “I personaggi del film non sono riusciti a diventare quello che avrebbero voluto: Ryota, sua mamma Yoshiko e l’ex moglie Kyoko hanno ormai ben chiaro il fatto che il futuro che loro desideravano inizialmente non è più qualcosa di raggiungibile. Mi interessava ritrarre il comportamento di chi nella vita nutre ambizioni che però poi non vengono realizzate. Il protagonista non ha del tutto perso la fiducia nelle proprie capacità di romanziere, anche la mamma continua a sperare che la situazione familiare del figlio possa sistemarsi. L’unico personaggio che forse si accontenta delle sue ‘possibilità’ è quello del figlio di Ryota, giocatore di baseball: in una scena del film il bambino dice che quello che gli interessa quando è sul campo non è fare un colpo spettacolare, ovvero un fuoricampo come suggeriscono e vorrebbero la madre e il di lei nuovo compagno, bensì un semplice walk (quando il battitore va in prima base al quarto ball, ndr.). Queste tre generazioni a confronto e il modo in cui esse si rapportano alla realtà: era soprattutto questo quello che volevo lasciare impresso nelle immagini del film”.

L’amore è come la pittura ad olio: è qualcosa che rimane e non può essere del tutto cancellato. “Questa frase pronunciata in uno dei dialoghi del film è una battuta che una volta una mia amica mi ha detto durante una conversazione. Nell’approccio alla realizzazione del film ho svolto varie ricerche. Ritratto di famiglia con tempesta si basa moltissimo non solo sulla mia esperienza di vita reale ma anche su quella di altre persone. Prima delle riprese ho infatti avuto modo di intervistare diverse donne divorziate il cui ex marito non pagava gli alimenti ai figli: nelle loro parole intravedevo i segni di una qualche forma di amore che apparentemente sembrava del tutto cancellato ma che invece era in qualche modo sopravvissuto al divorzio. Ho voluto che questo tipo di rappresentazione, cioè di come i sentimenti possano restare in superficie anche dopo che si crede siano ormai sepolti, emergesse all’interno del mio film”.

Mia madre. “Sia per Ritratto di famiglia con tempesta che per il precedente Still Walking c’è una sovrapposizione tra il personaggio della madre del protagonista dei due film (entrambi interpretati da Kirin Kiki) e la persona che era mia madre. Per quest’ultimo film posso dire che il personaggio della madre Yoshiko è una via di mezzo, diciamo il risultato di un 50% della caratterizzazione dell’attrice e di un 50% della personalità di mia madre. Devo dire che Kirin Kiki in genere non ha questo tipo di approccio di immedesimazione per la preparazione del personaggio che è chiamata a interpretare. Nel caso di Ritratto di famiglia con tempesta, quando abbiamo cominciato le riprese nella zona delle case popolari giapponesi che si vedono nel film, è stata lei stessa a dirmi che, per aumentare quello che era il potenziale dell’immagine di mia madre nella sua interpretazione, avrebbe voluto avere a disposizione, se possibile, qualche suo oggetto personale. Così le ho dato gli occhiali che mia madre usava quando diventò presbite. Gli occhiali che Kirin Kiri indossa nel film sono quindi proprio quelli che aveva mia madre. Rivedere le scene in cui l’attrice indossa gli occhiali mi fa un certo effetto: mi palpita il cuore perché in alcuni momenti del film è come se rivedessi mia madre. Non so poi alla fine quale possa essere stato l’effetto finale sul film, se negativo o positivo, ma per me la sovrapposizione tra il personaggio interpretato da Kirin Kiki e mia madre è stata senza dubbio una commistione che cercavo consapevolmente sin dall’inizio”.

Il non detto dei personaggi. “Forse è una caratteristica peculiare delle persone giapponesi, fatto sta che secondo me spesso si finisce con il non dire le cose. Questo perché, in fin dei conti, se invece ci si esprime a parole, spesso e volentieri quello che diciamo può essere una bugia. Ad esempio nel film, quando il protagonista parla, lo sentiamo il più delle volte accampare scuse, dire piccole bugie o dare sfogo a qualche forma di vanità, tutto questo perché non esprime il suo ‘reale’ istinto, quello che pensa realmente. Quando scrivo una sceneggiatura, tengo molto in considerazione questo aspetto dell’essere umano. E sono convinto che il descrivere, il proporre, il ritrarre qualcuno che non dice le cose che pensa realmente sia l’approccio più realistico, perché è quello che si riproduce più spesso nella vita quotidiana”.

La scelta del cast. “Avevo già avuto la possibilità di lavorare con Hiroshi Abe e Kirin Kiki nel film Still Walking. Subito dopo le riprese di quel film, pensavo che mi sarebbe piaciuto riutilizzare loro due ancora una volta in un rapporto madre-figlio, però solo dopo che fossero passati alcuni anni, cioè quando i due attori avrebbero potuto mostrare un’età maggiore rispetto a quella che avevano i loro personaggi in Still Walking. Ho scritto la sceneggiatura di Ritratto di famiglia con tempesta pensando che i personaggi di Ryota e Yoshiko sarebbero stati interpretati da loro. Per quanto riguarda gli altri attori, ho valutato la loro interpretazione in altre pellicole e li ho scelti in base alle loro performance passate. L’attore che veste i panni del bambino, è stato scelto tramite un’audizione: era quello che mostrava un timbro di voce più pacato e io l’ho preferito ad altri proprio per questo”.

Nuovo progetto: un dramma giudiziario. “Gli ultimi film sono stati dei drammi famigliari, ma per il futuro ho deciso di cambiare direzione. Il prossimo progetto sarà infatti un dramma di natura giudiziaria. Il protagonista è un avvocato, la storia parlerà di un omicidio e il film si focalizzerà sulle dinamiche tra l’uomo accusato del crimine e la famiglia della vittima”.

Il rapporto con l’Italia. “Sono convinto che la mia carriera di regista sia cominciata nel 1995, quando la mia opera di debutto Maborosi venne presentata alla Mostra del Cinema di Venezia (dove vinse peraltro un premio per la migliore fotografia, ndr.). Da lì è iniziato tutto… Mi sento come se la mia carriera fosse partita proprio in Italia. Dopo la presentazione alla Mostra, il film ricevette critiche molto positive che hanno fatto sì che io abbia potuto continuare a fare cinema negli ultimi 22 anni. Quella esperienza ha avuto un enorme significato per me. La Mostra del Cinema di Venezia e l’Italia rivestono quindi una grande importanza nella mia vita. Se ripenso agli anni in cui ero un universitario, mi viene in mente Federico Fellini: i suoi film, ma anche l’Italia, il Paese che ha dato vita alle sue storie, mi hanno fatto riflettere tanto e dato lo spunto per poter cominciare la carriera in questo ambito artistico. Il fatto che la mia opera più recente possa essere presentata qui da voi e distribuita nelle sale italiane è per me una grandissima gioia”.

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