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Il 2016 è stato con tutta probabilità l’anno in cui la realtà virtuale e la realtà aumentata hanno fatto un grande balzo in avanti, e il loro utilizzo ha iniziato a diffondersi anche in campi fino a poco tempo fa inaspettati, per esempio come mezzo per costruire empatia. Il principio è semplice: assistere alle problematiche di una persona attraverso una realtà simulata e un visore potrebbe aiutarci a immedesimarci nella vita altrui, e cambiare la nostra prospettiva su certi temi. Video di questo tipo esistono già da vari anni, da Clouds over Sidra a Syria VR molti hanno a che fare con il dramma dei profughi siriani, ma la diminuzione del prezzo dei visori sta di certo favorendo la creazione e diffusione di progetti simili.
Le reazioni finora sono state contrastanti, soprattutto quando le simulazioni provavano a ricostruire la realtà come in un videogame. Lo psicologo Paul Bloom, docente a Yale, ha fatto notare che questa tecnologia semplifica troppo: un visore può portarci direttamente su un barcone o accalcarci dentro un campo profughi, ma una buona parte del dramma dei rifugiati non è visibile e non è replicabile, visto che è nelle loro teste.
Come ricreare l’ansia e la paura vissuta da chi è costretto a scappare dal proprio paese e si trova senza certezze in un luogo estraneo e spesso ostile?
Molte critiche vengono rivolte verso l’idea stessa di creare macchine per l’empatia: siamo arrivati al punto di avere bisogno della tecnologia anche per capire il prossimo? Non abbiamo già da tempo a disposizione degli strumenti simili chiamati romanzi?
Per quanto non siano numerosi, gli studi sui benefici della realtà virtuale per ora hanno dato risultati incoraggianti.
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Durante una ricerca realizzata nel 2013 negli Stati Uniti venne chiesto a dei volontari di leggere una descrizione, guardare un filmato oppure assistere a una realtà virtuale del taglio di alcuni alberi, e incentivare così un uso più responsabile della carta. L’effetto del materiale stampato e del video era calato nel corso di una settimana, mentre l’esperienza di realtà immersiva aveva avuto un impatto più duraturo. Un altro studio realizzato a Stanford nel 2013 ha scoperto che dei volontari che avevano sperimentato attraverso dei visori un determinato tipo di daltonismo passavano il doppio del tempo ad aiutare dei daltonici rispetto ai partecipanti all’esperimento che avevano semplicemente dovuto immaginare questa condizione.
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L’uso della realtà virtuale in questo campo si sta lentamente diffondendo in Italia, ma chi ci sta credendo di più, al momento, è l’organizzazione per i diritti animali Animal Equality. Il loro progetto si chiama iAnimal ed è stato realizzato per far comprendere in modo diretto cosa significa vivere e morire dentro un allevamento intensivo. Un paio di giorni fa l’organizzazione ha lanciato il nuovo video 42 giorni. Il titolo fa riferimento al breve ciclo di vita dei moderni polli d’allevamento, selezionati geneticamente al fine di raggiungere il peso adatto alla macellazione dopo solo 6 settimane dalla nascita. Attraverso la voce narrante della nota modella e tatuatrice statunitense Kat Von D lo spettatore si cala nella realtà di un pulcino che cresce in un capannone industriale sovraffollato, fino al momento in cui verrà ucciso.
Animal Equality ha deciso di utilizzare un approccio dal basso: al di là di eventi organizzati in giro per l’Italia in cui è possibile utilizzare i loro visori Samsung Gear VR, i video a 360° di iAnimal sono a disposizione di chiunque su Youtube e vengono forniti gratuitamente. In altre parole, qualsiasi gruppo animalista potrebbe acquistare per conto proprio un visore di realtà virtuale per meno di cento euro e collegarlo a uno smartphone in cui sia stata scaricata l’applicazione gratuita Oculus, così da mostrare i loro video. In questo modo la realtà immersiva può essere portata più o meno ovunque. Si può essere sicuri che nei prossimi anni questa strada verrà seguita da sempre più gruppi attivisti.
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