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di Avv. Luciano Daffarra C-Lex Studio Legale
Il tema della responsabilità penale del gestore di un “blog” (“web-log”, cioè diario in Rete) in caso di diffamazione commessa dai suoi utenti, sta di recente assumendo contorni nitidi grazie ai numerosi interventi interpretativi dei giudici. Nonostante questa evidente evoluzione, vi è ancora una tendenza, anche da parte di esperti della materia, a considerare le offese rivolte a terzi attraverso un social network o un sito web privato come non punibili, frutto del diritto alla diffusione “non professionale” di notizie o informazioni, anche dannose per i destinatari, a differenza di quanto accade per i siti web di quotidiani a stampa o online.
Stiamo parlando dell’applicazione dell’art. 595, comma 3, del codice penale, disposizione che aggrava la pena per la diffamazione se commessa “col mezzo della stampa” o “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, intendendosi con tale ultima accezione “quei sistemi che rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un numero ampio o addirittura indeterminato di persone”. A tale stregua, anche gli articoli pubblicati anonimi su un “blog” generano la responsabilità penale dei loro autori, ove essi siano lesivi dell’onore e della reputazione altrui, non dissimilmente da quanto accade per i pezzi pubblicati sulle testate online, registrate o no che esse siano.
Anche sotto il profilo dell’assenza di un dovere di controllo del gestore del “blog”, vanno fatte alcune precisazioni.
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Se è vero che il gestore di un “blog” non ha il dovere di controllare o di cancellare i “post” chiaramente diffamatori (Cass. Pen. Sez. V Penale, Sent. 11895 del 12 marzo 2014), anche il dovere di sorveglianza e la susseguente responsabilità penale del direttore responsabile di una testata registrata online si configura solo quando vi sia la prova della consapevole adesione dello stesso al contenuto dello scritto (Cass. Pen. Sez. V Penale, Sent. 41249 del 23 ottobre 2012).
A tale proposito, secondo la recente giurisprudenza, la sussistenza di una volizione da parte del direttore responsabile nel senso sopra accennato, si configura solo qualora essa si possa desumere “dalla forma, dall’evidenza, dallo collocazione tipografica, dalle dimensioni dei titoli e dall’interesse dell’oggetto”. Questi elementi, valgono – ancor più che per le testate a stampa – per quelle online “nelle quali la presentazione dei pezzi, l’impaginazione e la loro evidenza grafica mutano più volte durante la giornata e non sono individuabili vere e proprie “edizioni“.
Una ultima precisazione riguarda l’evidente impossibilità di identificare il nome dell’autore o degli autori dei contenuti diffamatori postati online, fatto che ne escluderebbe pertanto la punibilità. Ai sensi delle norme vigenti deve essere sempre possibile conoscere il nome del soggetto che gestisce un sito Internet (Art. 7 D. Lgsl. 70/2003) e, del pari, anche in caso di “post” provenienti da terzi, il magistrato che proceda per diffamazione è in condizione di ordinarne la identificazione, avendo egli altresì il dovere di farlo ove per i fatti commessi sia stata esercitata l’azione penale, anche a seguito della necessaria querela.
Avv. Luciano Daffarra C-Lex Studio Legale
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