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In pista per imparare a guidare una Huracán Performante, l’ultimo capolavoro della casa di Sant’Agata Bolognese. Cronaca a 300 all’ora della prova di un’auto tanto potente quanto facile da guidare
Imola — Seduto su un divano piazzato davanti ai box dell’autodromo, guardo tremare le mie mani. Sono le 13 passate da poco: il sole alto e splendente picchia forte in testa, disegna corta a terra l’ombra della Lamborghini Huracán Performante dalla quale sono appena sceso per la quarta ed ultima volta. Una dopo l’altra, altre 19 auto rientrano dalla pista e le si accodano ordinate, guidate da alcuni istruttori e molti piloti professionisti travestiti da giornalisti.
Respiro a fondo, resto seduto a fatica.
Sono così carico che vorrei scattare in piedi e mettermi a ballare la macarena
Mi sforzo di mettere a fuoco pensieri, emozioni e sensazioni di una mattinata straordinaria, quattro lunghe ore in cui sono passato dal panico genuino alla pura esaltazione.
Alzo lo sguardo verso la belva e penso a quanto sia difficile descriverla. Per quanto impressionanti, gli oltre 325 chilometri all’ora di velocità massima, i 640 cavalli (30 in più del modello precedente), la coppia pari 600 Nm a 6.
500 giri/min del V10 aspirato da 5,2 litri, detti così non sono che numeri. Lo erano per me, prima che scoprissi che cosa vuol dire andare da zero a 100 chilometri all’ora in 2,9 secondi (per arrivare a 200 ne servono 8,9), che sperimentassi in prima persona l’incredibile pressione che spalma il guidatore contro il sedile quando schiaccia l’acceleratore, o ancora la forza centrifuga che si avverte quando ci si infila come un missile nelle curve, tagliandole con una sterzata netta che neanche “Automan” ai bei tempi.
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La notizia qui è che, dopo essere stato opportunamente istruito, ci riuscivo anche io a velocità per me impensabili. Merito della cura e dell’attenzione con cui organizzatori, tecnici e istruttori mi hanno accompagnato durante il mio battesimo in pista; ma merito anche e soprattutto della pletora di soluzioni tecnologiche all’avanguardia che, sommandosi e bilanciandosi l’una con l’altra, rendono la nuova Huracán Performante facile e divertente da guidare che si sia in pista per spingerla al limite, oppure che si passeggi su e giù per le colline emiliane.
Al centro di tutto ci sono tre giroscopi e tre accelerometri
In pratica sono i “sensi” principali con cui il “cervello” dell’auto, non a caso chiamato A.N.I.M.A., percepisce il movimento e declina la risposta delle prestazioni secondo tre diverse modalità di guida: Strada, Sport e Pista.
L’uso abbondante e inedito della fibra di carbonio Forged Composite, con cui Lamborghini realizza per la prima volta l’intera scocca di un’auto, ha consentito ai tecnici letteralmente di scolpire prese e condotti d’aria prima irrealizzabili, ridefinendo radicalmente l’aerodinamica. Così avviene che, a spingere la macchina verso il basso, non ci sia solo il generoso alettone posteriore attivo, ma anche i flaps che regolano davanti, a destra e a sinistra, l’entrata e il passaggio dell’aria attraverso la Huracan.
Semplificando al massimo, ALA funziona così: si attiva schiacciando a terra l’auto in frenata, si disinserisce in accelerazione riducendo al minimo la resistenza aerodinamica e, soprattutto, è in grado di funzionare in maniera indipendente sui lati destro e sinistro dell’automobile, aumentando in curva a seconda della necessità il livello di downforce sulla sola ruota interna, per incrementare tenuta, stabilità e trazione. Se a questo aggiungiamo elementi come i generosi pneumatici P Zero Corsa sviluppati da Pirelli appositamente per la Performante (anteriori 245/30 R20, posteriori 305/30 R20), o ancora i freni carboceramici con controllo stabilità e ABS, il quadro inizia a essere abbastanza completo.
Vista da dentro, la Huracán Performante sembra un aereo (foto: Alessio Jacona)
Tutto questo ben di Dio funziona davvero? Potrei tagliare corto dicendo che, se ha permesso a un guidatore ordinario come me di passare dal “dramma” alla prestazione dignitosa in 16 giri di pista, la risposta è sì.
Solo che non ho nessuna intenzione di tagliare corto.
La mattina del giorno di prove, alle 9 siamo già tutti all’autodromo di Imola. All’arrivo ci aspettano una decina di Huracán scenograficamente parcheggiate nel piazzale. Breve accoglienza, mezz’ora di presentazione con interventi dell’Ad Stefano Domenicali e del capo R&D Maurizio Reggiani, quindi presentazione degli istruttori capitanati dal capo collaudatore di Lamborghini, Mario Fasanetto. Incontrato la sera prima a cena, gli avevo chiesto quanto conta l’elettronica oggi in un’auto sportiva. “Se la base è solida, allora la macchina non ti sorprende, non ti coglie di sorpresa”, mi aveva risposto. “E soprattutto, ti avvisa quando sta per lasciarti”.
Una macchina buona è una macchina che resta guidabile anche quando escludi tutti i sistemi elettronici
— Mario Fasanetto, capo collaudatore di Lamborghini
Mentre mi aggiro per i box in attesa che mi assegnino una macchina, in cuor mio spero vivamente di non ricevere nessuno degli “avvisi” di cui parlava Fasanetto, mentre mi sale letteralmente il panico. Sento girare il primo gruppo e capisco subito che non posso tenere quel ritmo, quindi ingoio l’orgoglio e vado dalla responsabile del mio gruppo a fare quello che mi ero proposto fin dall’inizio: chiedere un inizio personalizzato e più “soft”.
Felice, terrorizzato, pronto a partire
Mi inseriscono in un primo giro lento che era già stato organizzato per una collega, anche lei alla sua prima “uscita ufficiale”. Mentre andiamo verso la macchina, lei mi dice che ha preso lezioni di guida sportiva la settimana prima: è lì che capisco che sono e resterò il vero absolute beginner della situazione. Tanto vale rassegnarsi.
Primo turno.
Poco dopo essere entrato in pista, sono confuso: girare è un’esperienza colossale, incredibile.
La potenza che ti attacca al sedile è straordinaria, la macchina è inchiodata a terra, le frenate ottundono i sensi
Il problema è che — rispetto agli altri — sembra una scena di “A spasso con Daisy”, solo che io non sono Morgan Freeman. Ogni tanto l’istruttore che ci precede nella pace car accelera per metterci alla prova: io sono terrorizzato e mi diverto come un matto allo stesso tempo.
Alla fine dei quattro giri esco a fatica dall’auto, bassissima, perché mi tremano le gambe. Andando verso i box dico alla collega americana: “Mi spiace se ti ho rallentato”. “Non c’è problema”, risponde lei, di fatto confermando i miei timori. Un po’ brucia, poi ci penso su un attimo e capisco che no, non mi importa: sono lì anche per imparare.
In pista a manetta (foto: Alessio Jacona)
Secondo turno.
La mia fortuna è che lì c’è gente veramente accorta e disponibile, tanto che questa volta mi mandano solo con il capo istruttore Lamborghini, Peter Muller. Mi parla dalla radio, ma sento una parola sì e tre no. Dice: “Fidati della macchina e seguimi. Fidati di me”. Decido di dargli retta: mi incollo al suo posteriore e imito tutto quello che fa. Del resto è così che ho imparato a guidare da mio padre. Copiando i suoi movimenti.
Spesso sbaglio marcia o cambio troppo tardi, facendo scattare il limitatore dei giri. Però comincio a beccare meglio gli inserimenti in curva, a stare sui cordoli quando serve, a forzare la macchina sulle curve strette, e soprattutto a ricordare la pista. L’adrenalina mi acceca ancora, ma non è più paura: quello che provo è genuino, dirompente piacere. I progressi dal primo turno sono enormi anche se sono ancora indietro. E l’ALA fa miracoli, specie sugli angoli stretti. Una cosa è vederla spiegare in un video, altra è sentirla all’opera mentre come una gigantesca mano trattiene l’auto nella sua traiettoria. Alla fine la paura è sparita mentre a togliermi il fiato ci pensa la voglia di risalire subito. Di capire meglio, di andare più forte.
In Lamborghini sono stati bravi: hanno messo messo un uomo qualunque (io) in condizione di imparare, divertirsi, crescere. A patto che abbia 200mila euro e spicci da spendere per una due posti che in città consuma 19 litri per fare 100 chilometri.
In curva, l’A.L.A. della Huracán Performante tiene inchiodati a terra
Terzo turno.
Prima di partire l’istruttore viene a dirmi che sto facendo bene e, per premiarmi, mi sistema sedile e volante in una posizione decente. È qui che scopro che sedevo troppo alto, al punto di toccare il tettuccio con la testa. E il bello è che non me ne ero neanche accorto, tanto ero gasato. Ormai è un corso personalizzato, quasi come se lo staff Lamborghini avesse fatto della mia iniziazione alla guida sportiva una vera e propria missione. Dopo le prime tre curve, finalmente una lampadina si accende nella mia testa: la macchina ha ruote enormi, trazione integrale permanente e un sistema aerodinamico che la inchioda a terra.
Di che cosa diavolo ho paura?
Mi lascio andare, ed è stupendo. Più gli sto dietro e più l’istruttore accelera. Più vado veloce, più sicura sembra la macchina, e mi viene voglia di osare. A un certo punto, Muller mi dice qualcosa dalla radio: non capisco nulla ma per tutta risposta gli grido: “Vai, accidenti! Vai! Dai che ti sto dietro!”. E lo faccio anche se so che non può sentirmi. Alla fine del turno scende dalla macchina, mi viene incontro e mi dice: “Hai visto? Da domani puoi tranquillamente andare a fare gare”. Non è vero, ma apprezzo l’incoraggiamento e rientro al box trotterellando.
Il quarto e ultimo turno arriva quasi subito.
Quando sono di nuovo in macchina, Muller mostra di aver apprezzato la mia sete di apprendere spalancando lo sportello e modificando ancora una volta la mia posizione di guida.
Solleva e avvicina lo sterzo, abbassa e avvicina il sedile.
“Come ti sembra?”, mi chiede. “Molto vicino”, rispondo. “Forse troppo rispetto alle mie abitudini”.
Allora portiamo avanti anche lo schienale, così stai ancora più sotto
Capisco l’antifona e mi adeguo. Poi mi dice dove impugnare lo sterzo, e di stringerlo meno che tanto non scappa. “E tieni ferme le spalle”, aggiunge perentorio. Fa per andarsene, poi ci ripensa: torna indietro e mi spiega che devo puntare sulla frenata invece che sulla scalata. “Scalo troppo?”, chiedo. “Dal casino che sento lì dietro, direi di sì”, dice con tono sardonico, poi suggerisce di non andare mai sotto la terza. Prendo nota.
L’ultima sessione è inebriante. Più veloce di tutte le precedenti. La nuova posizione fa una differenza enorme. Mentre accelero sento pezzi di gomma arrivare dalle ruote mie e di Muller contro la macchina, che ora slitta di più mentre tuttavia mantiene tenuta e stabilità incredibili. L’auto non rompe mai l’assetto, non ti coglie di sorpresa. Anzi, ti avvisa quando stai esagerando, dando il tempo di compensare. E comunque il suo limite è ben lontano dalle mie capacità che pure ora, alla fine di una mattinata straordinaria, trovo notevolmente incrementate.
Potrei andare avanti per giorni. Invece è il momento di tornare con i piedi per terra e rientrare ai box.
Ormai è andata, ed è stato stupendo
Mi butto sul divano e provo a ritrovare la calma, a dominare l’emozione.
Chiaro. Tutto questo è già qui e io stesso l’ho appena provato sulla mia pelle. Ma per quanto riguarda invece l’intelligenza artificiale? “Quella che abbiamo in mente noi non può chiaramente essere qualcosa che si sostituisce al guidatore, quanto piuttosto un assistente che lo accompagna e aiuta ad evolversi come pilota, facendolo crescere senza mai sostituirsi a lui”, chiarisce Reggiani. Fatti due conti, sulle Lamborghini del futuro sarà quindi disponibile una specie di Peter Muller virtuale, attivo 24 ore su 24, sette giorni su sette, pronto a educare alla guida sportiva quanti potranno permettersi le supercar create a Sant’Agata Bolognese.
Quasi quasi inizio a mettere da parte i soldi.
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