venerdì, Ottobre 11, 2024

5 modi in cui The Wire ha cambiato le serie tv

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Questo che vedete qui sopra è il teaser trailer di The Deuce, la nuova serie che partirà a settembre su Hbo e parlerà della legalizzazione dell’industria pornografica negli anni Settanta a New York, oltre che di traffico di droga, corruzione, Hiv e altri temi. Ma a garantire l’interesse della serie, oltre a un cast stellare che può vantare nomi come James Franco e Maggie Gyllenhaal, è che a scriverla è stato David Simon, ideatore e sceneggiatore dell’acclamatissima The Wire, che debuttava sempre su Hbo proprio il 2 giugno 2002.

Considerata da molti come una delle migliori serie di sempre, nelle sue cinque stagioni The Wire mostra un intreccio irresistibile di realismo crudo, profondità psicologica e intrecci narrativi. Racconta infatti gli intrighi di potere e di criminalità ma anche le problematiche sociali della città di Baltimora, concentrando ogni stagione su un problema specifico (il traffico di droga, il sistema portuale, la burocrazia corrotta ecc).

Il racconto, anche visivo, hard-boiled, l’impiego di un cast corale di attori semisconosciuti (che poi hanno però avuto grande successo, come Idris Elba, Dominic West e Aidan Gillen, il Ditocorto di Game of Thrones), la descrizione senza sconti di vite comuni sono alcuni degli elementi molto diffusi nei prodotti seriali di oggi a cui The Wire ha aperto la strada. Vediamo come questa serie ha cambiato il mondo della narrazione in tv.

1. È un’opera letterariaHfzVd1M

L’accostamento fra The Wire e la vera e propria letteratura funziona su diversi livelli.

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Innanzitutto perché, oltre a Simon anche lui autore di romanzi, il team di sceneggiatori comprendeva parecchi nomi della crime fiction americana fra cui Dennis Lehane e George Pelacanos. Ma lo stesso Simon aveva un chiaro modello letterario in mente: “Il nostro riferimento sono i grandi romanzi russi. E vogliamo fare con Baltimora quello che Balzac ha fatto con Parigi e Dickens con Londra“.

Inoltre l’ambizione letteraria di questa serie è dimostrata dal fatto che, pur parlando di una specifica città in un determinato periodo di tempo (l’inizio del ventunesimo secolo), l’effetto finale è quello di una storia universale che può toccare le corde di chiunque. Una portata impegnativa e interessante, dunque, che ha spianato la strada alle serie di oggi che sono l’esatta trasposizione televisiva di grandi romanzi letterari, prima fra tutte American Gods.

2. La ricerca dell’autenticitàgiphy

Qualsiasi cosa abbiamo rappresentato in quei cinque anni, come il crimine e la corruzione“, ha dichiarato Simon, “sono accaduti realmente a Baltimora. Le storie sono state rubate dalla vita vera“. In effetti lo showrunner è un ex giornalista che ha lavorato nella cronaca nera del quotidiano The Baltimore Sun, così come il co-autore Ed Burns era un ex detective della omicidi. Ogni aspetto della città viene scandagliato con realismo estremo, andando a dimostrare come tutte le formazioni di potere (dal municipio cittadino alla gang di narcotrafficanti) funzionano allo stesso modo.

Ogni tema è affrontato andando a osservare con minuzia i dettagli dei microuniversi che vengono raccontati (dalla legislazione del porto al funzionamento dei testi scolastici). Ma la cosa sorprendente è il linguaggio: un aspetto forse un po’ perso nel doppiaggio italiano è che ogni gruppo di personaggi ha la sua propria lingua che differisce in vocaboli e stile da quella degli altri, dando vita a contrasti ma anche similitudini (come fra il modo di parlare dei poliziotti e quello dei criminali).

3. L’andamento antologicogiphy-3

Nel corso dei sessanta episodi totali della serie lo spettatore assiste a diverse storyline, in quanto la città è vista secondo il punto di vista di diversi personaggi. Ma ciò che conta è soprattutto la storia principale che si dipana nel corso di ogni stagione, concludendosi in sé stessa (a parte la quinta, che serve quasi a chiusura di tutta la serie). Ciò permette al contempo di slegarsi dai modelli preconfezionati della singola vicenda in ciascun episodio ma permette anche di aggiungere complessità e dettagli alla narrazione in generale.

In qualche modo The Wire, modificando in ogni stagione il tema principale ma facendo in modo che i personaggi più ricorrenti tornassero all’interno della trama, ha anticipato il modello antologico così in voga nella serialità di oggi, da True Detective a American Crime Story.

4. La rappresentazione della diversitàgiphy-2

Uno dei personaggi più memorabili di The Wire è sicuramente Omar Little, interpretato da Michael K. Williams. In assoluto uno dei protagonisti più originali e anticonvenzionali della televisione degli ultimi decenni, è una specie di antieroe che rapina i trafficanti di droga e, nonostante sia evidentemente un criminale, si muove secondo un rigido codice morale. E poi è di colore e gay, sfuggendo dunque allo stereotipo del gangster da strada e stabilendo una variazione inaspettata e affascinante.

In generale una serie come The Wire è attenta a rappresentare, con realismo ma anche con volontà di contraddizione, la diversità che anima con i suoi contrasti una città come Baltimora: poliziotti contro criminali, ricchi contro poveri, neri contro bianchi. Non c’è però una fazione che risulta superiore alle altre. Di sicuro un ampio spazio dato al racconto della comunità afroamericana, dentro e fuori i luoghi comuni, ha anticipato la diffusione oggi di serie come Atlanta o Insecure.

5. I personaggi corali e sfumatigiphy-1

Come già detto, la forza di The Wire viene anche dal suo numeroso cast. Il fatto che, a parte qualche personaggio davvero primario come il detective Jimmy McNulty (Dominic West), ci si affidasse a una coralità di interpreti dà anche il polso della volontà di rappresentare un intero ambiente in tutte le sue sfaccettature. Inoltre non c’è qui una divisione netta fra buoni e cattivi, dando spazio a personalità sfumate che nascondono sia lati positivi che altri di autodistruzione o negatività. Un po’ come succede in serie contemporanee come Breaking Bad e House of Cards.

E come in ogni serie con un grande cast che si rispetti, gli autori non si facevano problemi a eliminare personaggi anche molto importanti e amati per pure ragioni narrative. The Wire non fu certo la prima serie a farlo, ma di sicuro non fu nemmeno l’ultima, come i tanti fan di Game of Thrones o The Walking Dead sanno benissimo.

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