Lamù – La ragazza dello spazio, perché era (ed è) un mito

La prima pubblicazione del fanta (dove fanta sta per fantascienza + fantasy) manga di Lamù, la ragazza dello spazio (in originale, Urusei yatsura) in patria risale a più di quarant’anni fa, il 24 settembre 1978: l’anime ispirato all’opera della prolifica Rumiko Takahashi ha visto la luce tre anni dopo, in forma di serie animata da 195 episodi prodotti dallo Studio Pierrot (e corredati da una colonna sonora memorabile), seguiti da una mezza dozzina di film e una dozzina di Oav. Le avventure quotidiane della vivace aliena Lamù, del suo sfigatissimo e pervertito fidanzato umano Ataru e di una foltissima schiera di personaggi che gravitano intorno alla coppia sembrava aver esaurito l’interesse dei produttori, lasciando ai seguaci il confortante tepore della nostalgia.

Tuttavia gli studenti e gli insegnanti del liceo della cittadina finzionale di Tomobiki sono destinati a tornare sul piccolo schermo: alla fine dell’anno scorso è stato annunciata una serie remake prodotta da David Productions curata da Hideya Takahashi e Yasuhiro Kimura (Le bizzarre avventure di Jojo). La prima immagine della “nuova” Lamù (il character design è curato da Naoyuki Asano) è accattivante ed è già stato anticipato che questo nuovo adattamento sarà suddiviso in quattro cour (stagioni da tredici episodi ciascuna). Dedicato sia a chi pensa che il cartone di Lamù sia sacro e non replicabile, sia a chi non vede l’ora di rivedere l’eroina extraterrestre, questo articolo ripercorre i motivi che fanno di questo anime un mito.