venerdì, Marzo 29, 2024

Una oppositrice di Putin è scappata dagli arresti domiciliari travestendosi da rider

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Travestita da rider, con tanto di zaino termico e mascherina della compagnia di consegne a domicilio, una delle leader del gruppo femminista russo Pussy Riot è riuscita a fuggire dalla Russia, mentre era agli arresti domiciliari. La storia di Maria Alyokhina, raccontata dal New York Times, sembra uscita da un romanzo di spionaggio, ma rappresenta invece un esempio dei pericoli che corrono gli attivisti e le attiviste per i diritti civili sotto il regime di Vladimir Putin.

  1. Chi sono le Pussy Riot
  2. La fuga
  3. L’arrivo a Vilnius

Chi sono le Pussy Riot

“Madre di Dio, manda via Putin”, è il titolo della preghiera punk che per la prima volta ha fatto diventare famosa la giovane giornalista e attivista Maria Alyokhina, nel 2012. Assieme alle altre componenti del gruppo Pussy Riot, Yekaterina Samutsevich e Nadezhda Tolokonnikova, ha cantato il brano davanti alla Cattedrale di Cristo salvatore a Mosca, tempio della chiesa ortodossa russa. In meno di un minuto, sono state portate via dalla polizia e condannate a 2 anni di carcere per teppismo e istigazione all’odio religioso.

Da allora, le Pussy Riot e i loro passamontagna colorati, sono diventate il simbolo della lotta contro le politiche conservatrici e sessiste di Putin e della difesa dei diritti civili in Russia. Dal 2012 rappresentano una vera spina nel fianco per il Cremlino, di conseguenza, le autorità hanno cercato continuamente di metterle a tacere. Solo nell’ultima estate Maria Alyokhina è stata arrestata e incarcerata sei volte, ogni volta per quindici giorni, per poi essere condannata a un anno di di domiciliari.

Tuttavia, quando Putin ha lanciato l’invasione dell’Ucraina, Alyokhina ha tagliato il suo braccialetto elettronico in segno di protesta, pubblicando le foto sui suoi canali social, Per questa azione, lo scorso 21 aprile, il tribunale di Mosca ha trasformato la sua condanna in ventuno giorni di carcere vero e proprio. A quel punto, dopo aver trovato un cartello con la scritta “traditrici” sulla porta della casa che condivideva con la sua compagna, ha deciso che era giunto il momento di lasciare la Russia, ideando un piano molto rischioso per eludere la sorveglianza della polizia.

Travestita da rider, Alyokhina ha lasciato il suo telefono a casa per evitare di essere rintracciata, è uscita dall’appartamento in cui alloggiava e ha raggiunto un amico che l’ha accompagnata al confine con la Bielorussia. A quel punto era già stata inserita in una lista di ricercati dalla Russia, ed è rimasta bloccata nel paese satellite per una settimana, evitando alberghi e altri luoghi pubblici per non essere riconosciuta e fallendo due volte nel tentativo di attraversare il confine con la Lituania. Solo al terzo tentativo è riuscita a scappare verso Vilnius, finalmente al sicuro dalla repressione russa, grazie a un visto europeo fornitole da alcuni funzionari islandesi rimasti anonimi e portato di contrabbando in Bielorussia.

L’arrivo a Vilnius

“Non ho ancora capito bene cosa ho fatto – ha dichiarato al New York Times, che ha raccolto la testimonianza della sua fuga – ma sono felice, perché è stato un addio e un grande colpo alle autorità russe”. Il suo successo, ha spiegato, è dipeso in gran parte dalla profonda disorganizzazione delle autorità che “da fuori sembrano un grande demone” ma dall’interno è chiaro che “la mano destra non sappia cosa fa la sinistra”.

Prima e dopo di lei sono scappate dalla Russia molte altre attiviste del gruppo Pussy Riot, compresa la sua compagna Lucy Shtein, che l’hanno raggiunta a Vilnius. La speranza di tutte è quella di riuscire un giorno a tornare a casa, per continuare il loro lavoro, nonostante l’invasione abbia cambiato tutto, ha detto Alyokhina, per lei e per il paese. “Non credo che la Federazione russa abbia più il diritto di esistere – ha sostenuto al New York Times -. Già da prima ci si chiedeva da cosa fossero uniti tutti quei paesi, in base a quali valori stessero insieme e dove stessero andando. Ma ora, non credo valga più nemmeno la pena di porsi questa domanda”.

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