lunedì, Settembre 16, 2024

Agli Internazionali di Roma brillano ancora i veterani

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Dimenticate per qualche minuto la Next Gen, i ventenni dalle grandissime speranze. Dimenticate la giovane Italia della racchetta, talentuosa e con servizi che viaggiano oltre i duecento chilometri orari. Agli Internazionali di tennis di Roma c’è posto anche per gli over 30. E così quando le campane suonano le diciannove, finalmente il sole smette di picchiare e l’ombra si allunga sulla Grand Stand Arena, finalmente possono entrare in campo gli ultimi italiani rimasti ancora in gara, Fabio Fognini e Simone Bolelli, arrivati ai quarti di finale del torneo di doppio. 

Mentre il pubblico della sessione serale tira fuori giacche di pelle e si sistema ai propri posti dopo aver cantato Propaganda di Colapesce, Dimartino e Fabri Fibra, ecco il rullo di tamburi che annuncia l’ingresso in campo dei veterani azzurri. Si sentono gli applausi dal viale che porta al Campo Centrale. Fuori Sonego e Sinner, out per infortunio Berrettini e Musetti, sono ancora questi ragazzi nati negli anni Ottanta i testimonial del Made in Italy davanti a un pubblico che li conosce da almeno un decennio e che quindi li chiama per nome, anzi per soprannome: «Daje Fogna», «vai Simo», «grandi ragazzi». 

Guardandoli giocare da vicino, osservando i gesti delle mani dietro la schiena, il linguaggio in codice comprensibile soltanto a loro due, il modo in cui si muovono l’uno seguendo i movimenti dell’altro, si capisce che in due contro due si gioca tutto un altro sport. In due ci si divide meglio il campo, ma si pensa il doppio e si sbaglia il doppio. «Fatevi sentire», dice Fognini al suo angolo dopo un game vinto a fatica nel primo set, come se a trentaquattro anni, dopo diciotto anni di professionismo ci fosse ancora bisogno di qualcuno che gli dica «bravo, continua così». E sì, la verità è che ne hanno ancora bisogno.

Il doppio è un gioco isterico, velocissimo, di equilibri precari e fiducia a tempo determinato: basta un dritto fuori di un centimetro per far crollare l’impalcatura e far precipitare il punteggio, l’aggravante è che, nella discesa libera, si rischia di trascinare anche il proprio compagno. 

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