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Covid-19 ci ha colto impreparati. E per evitare che succeda di nuovo una parte della comunità scientifica preme per moltiplicare gli sforzi che puntano a prevedere quali virus potrebbero causare la prossima pandemia. Studiare i virus animali prima che compiano il famoso salto di specie, così da farsi trovare pronti in caso di necessità; andandoli a scovare in natura, e magari manipolandoli in laboratorio per verificarne il potenziale zoonotico, e i rischi che comporterebbero una volta adattati alla nostra specie. Non tutti, però, concordano: negli Usa è in corso un acceso dibattito sull’opportunità di regole più stringenti per queste ricerche, definite “gain of function”, che prevedono la creazione in provetta di nuovi patogeni potenzialmente letali. Il rischio, secondo gli scettici, è che giocando troppo con virus che al momento non rappresentano un pericolo per l’uomo, gli sforzi per prevenire la prossima pandemia finiscano, paradossalmente, per provocarla.
Il dibattito in America
Il dibattito sugli studi di gain of function ha guadagnato l’attenzione globale nel 2011, quando ben due gruppi di ricerca, uno olandese e uno nippo-ammericano, hanno annunciato di aver modificato il virus dell’influenza aviaria H5N1, rendendolo capace di infettare efficacemente i furetti per via aerea. All’epoca, in molti definirono il nuovo virus il patogeno più pericoloso del mondo, e per un’ottima ragione: l’influenza aviaria è una malattia estremamente infettiva (almeno negli uccelli) e drammaticamente letale, con una mortalità che nell’uomo si aggira attorno al 60% degli infetti. L’unica cosa che ha impedito fino ad oggi a questo virus di provocare una pandemia catastrofica è il fatto che la trasmissione tra esseri umani è pressoché impossibile. Tutti i casi noti risalgono infatti a infezioni contratte dal contatto con uccelli malati, e anche così la trasmissibilità del virus alla nostra specie è estremamente bassa. Un virus H5N1 in grado di infettare i furetti, però, è ben altra cosa: il passo per l’infezione tra uomo e uomo è molto più breve, anzi, praticamente scontato.
L’obbiettivo dei ricercatori, ovviamente, era quella di studiare più a fondo i rischi pandemici dell’aviaria e i meccanismi di infezione del virus, per portarsi avanti nello sviluppo di vaccini o terapie. Secondo molti altri scienziati, però, i rischi che il virus sfuggisse dai laboratori in cui era custodito (o peggio, che qualche entità male intenzionata potesse sfruttare le ricerche per trasformarlo in un’arma biologica), superavano di molto i potenziali benefici. Sulla scia di un dibattito che vedeva spaccata la comunità scientifica (e non solo), due incidenti avvenuti nel 2014 nei laboratori americani di massima sicurezza, in cui il personale aveva rischiato di rimanere esposto ad antrace e virus dell’influenza aviaria, gli Stati Uniti decisero di ordinare uno stop temporaneo alle ricerche gain of function, bloccando per tre anni i finanziamenti statali in quest’area.
La moratoria è scaduta nel 2017, con l’approvazione di nuove linee guida per il finanziamento di ricerche gain of function che prevede una valutazione ad hoc di ogni progetto. Le nuove norme avrebbero dovuto placare i dubbi degli scettici, ma ad appena due anni dalla loro applicazione il National Institute of Health (Nih) ha approvato il finanziamento di due ricerche volte, nuovamente, a modificare il virus dell’aviaria per renderlo più pericoloso per gli esseri umani. Le polemiche sono riprese, e l’Nih ha deciso di aprire una consultazione pubblica sul tema. La prima sessione si è svolta lo scorso 27 aprile, e come riporta un articolo di Nature, ha visto la partecipazione di un nutrito gruppo di esperti di virologia e di biosicurezza, che hanno chiesto l’inasprimento delle norme che regolano le ricerche in cui i patogeni vengono resi più letali o più trasmissibili, e l’estensione delle regole anche al di fuori del National Institute of Health, per raggiungere tutte le agenzie federali, e anche entità private come case farmaceutiche e istituzioni filantropiche.
Il pericolo è reale?
Il pericolo delle ricerche gain of function è legato al rischio che un incidente causi la fuoriuscita di virus e batteri pericolosi dai laboratori. E purtroppo, casi del genere non sono mancati anche negli ultimi anni. Nel 2014, Usa Today riferiva ad esempio di aver ottenuto dai Centers for Disease Control and Prevention una serie di documenti che provavano oltre 1.100 incidenti avvenuti nei laboratori americani tra il 2008 e il 2012, nei quali il personale era stato esposto a virus, batteri o tossine potenzialmente pericolosi. Nel 2016, il primo rapporto ufficiale sulla sicurezza dei laboratori americani rivelava ben 199 incidenti avvenuti nel solo 2015. In un caso, il personale del laboratorio era stato infettato dal batterio Coxiella burnetii, agente causativo della febbre Q, una patologia che raggiunge una letalità del 38% in caso di malattia sintomatica, e che è stata studiata e sviluppata come arma biologica fino agli anni ‘60 dall’esercito americano.