mercoledì, Marzo 22, 2023

Addio iPod, grazie a te la musica è cambiata davvero

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L’iPod è stato un fenomeno in termini di design, moda e funzionalità. Non meno impressionante è stata la volontà di Apple di cannibalizzare l’offerta per produrre nuove versioni in grado di generare interesse. Un catalogo visivo dei vari iPod mostra un’esplosione cambriana di variazioni sul tema. Tra il 2001 e il 2012 sono state messe in produzione sei generazioni dell’iPod originale, sette generazioni di Nano e quattro di Shuffle. I display sono passati da monocromatici a colori e, nel caso dello Shuffle, inesistenti. Lo spazio di archiviazione è esploso. E praticamente tutte le varianti dell’iPod erano più economiche – a volte molto più economiche – dell’originale. Per contro, il design dell’iPhone si è sostanzialmente stabilizzato, mentre il prezzo continua a salire. L’era dell’iPod è stato gloriosa e ineguagliabile.

Rivoluzione musicale

La scomparsa dell’iPod mi ha fatto capire un’altra cosa. La prima volta che mi ha lasciato senza parole è stata quanto Jobs ha tirato fuori il dispositivo dalla tasca dei jeans, rivelando che conteneva al suo interno mille canzoni. Avere una collezione di dischi in tasca ha cambiato il nostro modo di ascoltare la musica. Jobs aveva anche capito che il modo migliore per riempire gli iPod sarebbe stato la vendita digitale: “È come se internet fosse stato costruito per la distribuzione di musica“, mi disse nel 2003, in occasione del debutto di iTunes. Per diverso tempo, però, Jobs è stato categorico nel sostenere che le persone volessero essere proprietarie della propria musica. Questa è stata l’apoteosi dell’iPod, un dispositivo personale adorato dagli utenti che riproduceva una collezione di canzoni accuratamente selezionate.

Poi sono arrivate le connessioni al cloud e la migrazione ai servizi di streaming. L’archiviazione personale di brani e musica è diventata superflua. Invece di avere mille canzoni in tasca, abbiamo accesso a milioni di brani attraverso l’etere. I nostri dispositivi non sono più universi autosufficienti, ma portali a un archivio globale di conoscenze e dati di addestramento per l’intelligenza artificiale. Noi stessi stiamo sempre di più diventando appendici di questa massa digitale in fermento.

Nell’era post-iPod, non possediamo più le canzoni, vi accediamo. In realtà non so dirvi che fine abbiano fatto tutte le canzoni che ho comprato in digitale o preso dai cd per riempire i miei vari iPod (se vi interessa, qui trovate la spiegazione più recente, e un po’ confusa, fornita da Apple). Anche se ovviamente mi piace l’idea di poter ascoltare qualsiasi cosa in qualsiasi momento, Jobs aveva ragione quando diceva che alle persone piace sentirsi proprietarie della musica che amano. Personalmente, oggi mi aggrappo a un’unica certezza: un iPod Classic ancora funzionante (risalente all’incirca al 2007) con circa 14mila canzoni, che ho inserito personalmente una a una. Ho paura a usarlo troppo, perché se si rompe è andato per sempre. Quando penso se portarlo con me in viaggio, mi sento come Elaine di Seinfeld, nell’episodio La spugna: questa gita è degna del mio iPod? Nel frattempo, ho rispolverato il mio vecchio giradischi e sto riassaporando la mia storica collezione di vinili.

Ricorderemo l’iPod come il dispositivo leggendario che ci ha portato dalle limitazioni storiche imposte dalla scarsa disponibilità a un’abbondanza da capogiro. È anche il motore che ha condotto Apple fuori dall’era dei computer e l’ha resa mainstream. In definitiva, ogni essere umano che passeggia lungo un viale con degli auricolari intorno la testa, riproducendo brani da una libreria sconfinata o ascoltando un podcast, ha un debito di gratitudine nei confronti del dispositivo che ho definito La cosa perfetta. L’iPod vive.

Questo articolo è tratto dalla newsletter di Steven Levy per Wired US.

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