lunedì, Novembre 4, 2024

Con Neuralink sarà davvero possibile curare l’acufene?

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Neuralink, l’azienda statunitense il cui obiettivo è collegare cervello e computer tramite un chip, fondata (insieme ad altri) da Elon Musk, torna a far parlare di sé dopo le accuse di violazione delle norme in materia di sperimentazione animale. Stavolta la notizia è di tutt’altro tenore, ed è lo stesso Musk ad averla annunciata, rispondendo a una domanda su Twitter sul trattamento dell’acufene, un disturbo che si manifesta con la percezione di costanti fruscii, ronzii o scampanellii anche in assenza di rumori esterni, e per la quale al momento non esiste alcuna terapia definitiva. Stando alle dichiarazioni di Musk, il chip di Neuralink potrebbe arrivare, “entro meno di cinque anni”, alla soluzione del problema. 

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Molto interessante, ma quanto c’è di vero, o plausibile, dietro un annuncio di questo tenore?

La nascita di Neuralink

Facciamo un passo indietro e torniamo al 2017, quando Musk, fondando Neuralink, affermò che entro quattro o cinque anni sarebbe riuscito a mettere a punto un’interfaccia parziale tra cervello e computer. All’epoca, l’obiettivo dell’azienda era, in un primo momento, quello di potenziare le abilità del cervello umano, per poi passare a sviluppare interfacce in grado di alleviare i sintomi di alcune patologie croniche del cervello (epilessia, Parkinson, etc.). Il dispositivo messo a punto dall’azienda è un chip delle dimensioni di una moneta, chiamato Link, che viene impiantato a filo del cranio da un robot chirurgico, e collegato tramite un migliaio di fili (delle dimensioni di un quarto di capello umano) a determinati gruppi di neuroni; la comunicazione con un computer esterno, invece, avviene tramite bluetooth.

Elettrodi sottilissimi e chirurghi robot

Nel 2019, Musk e i tecnici di Neuralink presentarono i primi prototipi sperimentati su animali di laboratorio (ratti e una scimmia) con l’obiettivo dichiarato di passare all’essere umano l’anno successivo. Gli elettrodi mostrati dagli scienziati apparvero subito molto interessanti, soprattutto per la loro sottigliezza (4-6 micrometri, equivalenti, per l’appunto, a un quarto del diametro di un capello), e per la loro flessibilità, che avrebbe scongiurato l’uso di aghi rigidi nel cervello che avrebbero potuto causare danni nel lungo periodo (dal momento che, come spiegarono gli esperti, “il cervello nel cranio si muove, mentre gli elettrodi no”). Questa flessibilità, comunque, rende l’inserimento degli elettrodi nel cervello più complicato; per questo la società annunciò anche la creazione di“un robot neurochirurgico in grado di inserire sei fili (pari a 192 elettrodi) al minuto”: un sofisticato apparecchio in grado di impiantare i fili evitando di danneggiare i vasi sanguigni, così da ridurre la risposta infiammatoria del cervello.

2019: tocca a Gertrude

Il passo successivo ha visto l’arrivo in scena di Gertrude, un maiale che, in una diretta streaming dell’agosto 2019, dimostrò il livello di sviluppo dell’interfaccia neuroelettronica di Neuralink. Sostanzialmente, nella diretta si vedeva il maiale azionare il suo principale e più sviluppato organo sensoriale, il muso, mentre le immagini mostrate su uno schermo e i suoni diffusi da un sistema audio ne svelavano in tempo reale l’attività cerebrale, dando una suggestione di quanto variasse la sua intensità a seconda di quale punto odorasse e di quel che facesse.

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