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Ci siamo: dal 18 maggio presso l’Organismo per la gestione degli Elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi (più semplicemente Oam) – che ricordiamo essere un’associazione privata, senza fini di lucro, dotata di autonomia finanziaria, organizzativa e statuaria, con una sua personalità giuridica, che ha sostituito dal 2010 l’omologo organo precedentemente attivo presso la Banca d’Italia – sarà operativo un registro dedicato ai prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e di servizi di portafoglio digitale che operano in Italia.
Dopo quasi cinque anni di attesa, qualche stop forzato e una interrogazione parlamentare, infatti, il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è determinato ad imporre la popolazione di una Sezione Speciale con un Decreto Ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 febbraio 2022. Gli exchange che offrono servizi di acquisto e scambio, i custodial wallet che erogano servizi di custodia e una serie (in realtà non meglio definita, come vedremo) di altri operatori che offrono servizi connessi all’utilizzo di valute virtuali avranno 60 giorni di tempo per comunicare la propria operatività in Italia e continuare ad esercitare l’attività. In caso di mancato rispetto del termine, o di diniego all’iscrizione da parte dell’Organismo, l’eventuale esercizio dell’attività sarà considerato abusivo.
In definitiva, il nuovo decreto stabilisce l’obbligo di iscriversi presso un’apposita sezione del registro, inizialmente nato per censire i c.d. “cambia valute”, per chiunque svolga in Italia servizi connessi con l’intermediazione di valuta corrente con valute virtuali o, più generalmente, offra servizi connessi alle “rappresentazioni digitali di valore”, come vengono normativamente definiti i c.d. crypto-assets.
Confini non chiari
E qui sorgono i primi dubbi. Tale perimetro, infatti, non solo è più ampio di quello espressamente previsto dalla quinta AML Directive (le normative comunitarie sull’antiriciclaggio), ma ha anche confini eccessivamente indefiniti. La normativa europea ha voluto imporre agli Stati membri di regolamentare esclusivamente quanti forniscono servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali e quanti forniscono servizi di portafoglio digitale. Il decreto italiano, invece, impone obblighi non solo a chi eroga questo tipo di servizi, ma anche a attività anche solo indirettamente collegate, e che in molti casi non hanno niente a che vedere con l’attività di cambio né con l’attività di portafoglio digitale. Il regolatore ha inteso quindi coprire tutte le tipologie di servizi connessi ai c.d. token fungibili (utility token, security token, value-less token e via dicendo) oppure anche quelle relative ai c.d. token non fungibili – meglio conosciuti come NFT? Un marketplace che offre una piattaforma di scambio di opere d’arte a tokenizzate dovrà dunque adeguarsi?
A prima vista parrebbe di no, perché il Ministero dell’Economia, in risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-06521 ha espunto dal testo definitivo il riferimento agli operatori commerciali che accettano valuta virtuale quale corrispettivo di qualsivoglia prestazione avente ad oggetto beni, servizi o altre utilità. La disciplina, pertanto, sembrerebbe riguardare esclusivamente le piattaforme funzionali ad offrire a terzi, a titolo professionale, servizi aventi ad oggetto criptovalute, ad eccezione dell’attività di mera emissione in proprio (ed anche su questo aspetto era inizialmente sorto qualche dubbio relativo ai c.d. miners: coloro i quali generano nuova valuta virtuale sfruttando la potenza computazionale dei propri dispositivi), che – se non svolta a titolo professionale e per conto della clientela – non è di per sé sufficiente a qualificare gli operatori come prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale. In assenza di ogni ulteriore precisazione da parte del Ministero, è prevedibile un rischio di eccessivo allargamento dell’ambito di operatività della regolamentazione, con copertura anche per soggetti o settori che nulla avrebbero a che vedere con la vera e propria attività in criptovalute.
I costi
Una ulteriore, sgradita, sorpresa per coloro i quali dovranno adeguarsi – intorno alla quale si è alzato immediatamente un polverone tra gli addetti ai lavori – è emersa dalla lettura del vademecum approntato dall’Oam per fornire le istruzioni operative: il contributo per l’iscrizione al registro infatti (previsto dall’art. 7 lettera a) della Circolare) e definito “una tantum per far fronte agli oneri di messa in opera, sviluppo e manutenzione del sistema, differenziato tra soggetti persone fisiche e soggetti diversi dalle persone fisiche” è stato fissato, irragionevolmente, in 500 euro per le persone fisiche e ben 8.300 euro per persone giuridiche. Tanto, troppo, soprattutto rispetto agli omologhi oneri a carico dei cambiavalute tradizionali e degli sportelli “compro oro”, tenuti versare dai 230 ai 3.700 euro. Per alcuni autorevoli commentatori, obiettivamente il contributo fissato pare abnorme e non rispondente ad alcuna logica, se non punitiva dell’intero settore, dato che per alcune start up potrebbe costituire una importante barriera all’ingresso. Così si finisce per falsare il mercato, impedendo il fiorire di un mercato innovativo ed in costante sviluppo.
Il ruolo delle aziende estere
Del resto, anche i provider esteri (almeno quelli che dimostrano interesse alla compliance con il nostro ordinamento), che pure risultano essere impattati dal provvedimento, sembrano contrariati: dovranno infatti dotarsi di una stabile organizzazione (se comunitari) o di una società costituita in Italia (se extracomunitari) e quindi non potranno più operare semplicemente su base transfrontaliera. Ne consegue che i fornitori di servizi esteri già operanti sul territorio italiano in mancanza di residenza, sede sociale o stabile organizzazione alla data di avvio della sezione speciale, dovranno sospendere la loro attività perché abusiva, finché non abbiano proceduto alla costituzione di una società o stabile organizzazione ed ottenuto l’iscrizione. Alcuni di essi, come dichiarato dallo stesso proprietario di Binance – Changpeng Zao, di recente in visita a Roma – si sono già adoperati per costituire una branch italiana e prepararsi così all’iscrizione.