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E a Genova ci è tornato, ha ritrovato al campo di allenamento di Bogliasco il vecchio magazziniere e i dirigenti, ha rivisto dopo anni Fabio Quagliarella, è tornato a Marassi sotto la sua gradinata, vuota e silenziosa, le immagini di adesso che si alternano con quelle del passato, quando esultava a braccia aperte davanti al muro umano dei tifosi, innamorati pazzi del suo talento e ubriachi di gioia per i suoi gol.
Il ricordo di quel giorno a Genova, quando gli comunicarono la prima positività al controllo antidoping, la corsa a casa per non incrociare i giornalisti, le lacrime una volta chiusa la porta alle spalle. L’inizio di un incubo, non sapendo però che il peggio doveva ancora arrivare. E poi la cena con gli ex compagni Volpi e Palombo, durante la quale chiamano il loro vecchio mister Novellino (che è poi andato a Firenze per vedere il debutto di Flachi con il Signa).
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Un viaggio a ritroso fino al campo dell’Isolotto, dove ha mosso i primi passi e iniziato a far parlare di sé, quando da ragazzino segnava valanghe di reti. La nonna gli dava 5000 lire a gol, dopo poco ha dovuto smettere. Filmati sgranati di quel bambino che faceva parlare tutta Firenze: «Più che raccontare quello che è successo, sono stati difficili gli ultimi 12 anni, perché adesso sono sereno, il passato è passato», ci ha raccontato Flachi. «Sono stati 12 anni lunghi, ho smesso di vedere il calcio perché mi dava noia ripensando a quello che avevo fatto (aveva anche aperto una paninoteca in centro a Firenze, ndr). Non è colpa di nessuno, la responsabilità è stata tutta mia. All’inizio quando succedono queste cose vieni un po’ scansato, poi ho avuto la fortuna di iniziare a collaborare con una radio facendomi conoscere e apprezzare, poi ho fatto l’allenatore prima in una scuola calcio a Bagno a Ripoli e poi con una squadra di terza categoria con cui ho vinto il campionato. Poi è arrivata la televisione, e lì ho potuto far vedere che stavo bene, perché tante volte la gente può avere dei pregiudizi e chiedersi che fine avessi fatto. Anche questo mi ha ridato fiducia in me stesso per provare a fare cose nuove in futuro».
Uno sguardo al futuro
Il Signa gli ha restituito ciò che aveva perso, lui ha fatto vedere che, se si vuole, si può. Qualche altro spezzone di gara, la consapevolezza di dover fare i conti con la carta di identità. Ma la sua partita l’aveva già vinta, accettando la sfida e sudando anche alla vigilia di Natale su un campo di calcio («Il campo è in erba o in sintetico?», gli chiedono. «A ciuffi!», risponde lui). L’anno prossimo non giocherà più, ma Francesco Flachi ha le idee chiare su ciò che vorrebbe fare: «Mi piacerebbe rientrare nel calcio anche dal basso, da allenatore. Perché io ho commesso tanti errori e buttato via la carriera per le mie cazzate, e mi piacerebbe farlo capire ai ragazzi di adesso, che non hanno quel senso di appartenenza e non capiscono i valori che ci sono dentro uno spogliatoio, dar loro questi consigli perché se hanno una passione non facciano quello che ho fatto io. Questo è il mio primo obiettivo, poi se sarò bravo a fare l’allenatore quello lo dirà il campo. Spero possa essere di insegnamento per i ragazzi, perché ci sono tanti ostacoli da capire, perché è facile arrivare a essere giocatori, il problema è rimanerci».