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Dieci minuti di applausi alla proiezione ufficiale. Basta questo per spiegare quale sia stata l’accoglienza riservata dal festival di Cannes a Esterno notte di Marco Bellocchio.
Cinque ore e mezzo di film diviso in due parti (la prima già nelle sale dal 18 maggio, mentre la seconda arriva il 9 giugno) e, in autunno, in forma di miniserie tv in sei puntate in onda su Raiuno. Un formato “doppio” come non si vedeva da tempo. Altro caso che ricorderete: La bella gioventù di Marco Tullio Giordana che, nel 2003, uscì nelle sale italiane diviso in due atti e quindi, sempre su Raiuno, in quattro puntate. E che segna anche il debutto per il regista ottantaduenne nella serialità.
Esterno notte racconta il rapimento, nel 1978, del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro (interpretato da Fabrizio Gifuni), “una tragedia italiana” alla quale Bellocchio aveva già dedicato il film Buongiorno notte, uscito nel 2003, e per il quale si era ispirato al libro Il prigioniero dell’ex brigatista Anna Laura Braghetti, all’epoca intestataria dell’appartamento nel quale Moro venne tenuto prigioniero dalle Brigate rosse.
Il regista che, ha ricordato, non ama tornare sugli stessi temi più di una volta, ha fatto un’eccezione (lo stesso per il format Tv al quale, ha “promesso” Bellocchio non ricorrerà di nuovo: “Questa è la prima e sarà l’ultima volta”). Spiegando di essere partito da due immagini: “Una foto scattata sulla spiaggia nel 1971. Intorno a mamme, bambini e papà in costume da bagno, si vede il presidente Moro in doppiopetto e cravatta”. Mentre l’altra fotografia, sempre al mare, è quella in cui la moglie di Moro, Eleonora, è alla guida di un motoscafo. “Era una donna fiera, che si è portata nella tomba molti segreti”.
Due istantanee che rappresentano “il controcampo di un Moro prigioniero e poi giustiziato”.
Infatti, diversamente da quanto accadeva in Buongiorno notte, in cui il regista focalizzava l’attenzione sulla protagonista – Chiara interpretata da Maya Sansa, unica donna tra i “carcerieri” del presidente – in Esterno notte, la prospettiva si ribalta e i 55 giorni del sequestro sono raccontati non dall’interno della prigione dove Moro venne interrogato dalle BR, giudicato colpevole e, infine, giustiziato, ma da fuori.