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Armageddon Time, il suo film più politico, cerca di mostrare come il cosiddetto “privilegio bianco” abbia influenzato la sua vita e gli abbia permesso di salire ai vertici della società senza dover mai affrontare le conseguenze delle sue azioni.
Radicale nella trattazione di un razzismo sistemico che si estende dal cortile della scuola alle istituzioni pubbliche, intransigente nel guardare all’illusione della meritocrazia e all’ipocrisia con cui la narrazione del successo è costruita dai più abbienti, il lungometraggio mostra una lucidità totale e smentisce tutte le aspettative di questo tipo di narrazione.
Se si volesse fare un confronto con C’era una volta… a Hollywood di Quentin Tarantino e Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson, entrambi film retrospettivi intrisi di una nostalgia galvanizzante, Armageddon Time è il negativo assoluto, che spazza via ogni magia a favore dell’angoscia del futuro. Il film si concentra sulle ansie dell’epoca (l’elezione di Ronald Reagan e l’incombente minaccia nucleare) e sul modo in cui si intrecciano con quelle del nucleo familiare.
Ci sono alcune battute che fanno ridere lo spettatore, ma il film si ribalta definitivamente durante una delle scene più spaventose che il regista abbia mai realizzato, che mette a nudo tutta la violenza sommessa che aveva permeato la storia a sprazzi. Per incarnare uno scenario così sfumato e antispettacolare, James Gray può contare su un cast pazzesco: Jeremy Strong è terrificante nel ruolo di un padre autoritario, Anne Hathaway è esemplare come sempre. Ma è Anthony Hopkins a catturare l’attenzione, straordinario nel ruolo del nonno di Paul.
Anche se relegato al rango di personaggio secondario, ogni sua apparizione permette al film di dare vita a grandi momenti di emozione e offre uno dei suoi lati più toccanti. Il suo personaggio, al tempo stesso presenza rassicurante per Paul e testimone di un tragico periodo storico che lui non ha vissuto, ricorda al ragazzo quanto possa essere difficile la lotta per affermarsi nella società. A maggior ragione quando le forze usano tutto il loro potere per mettere a tacere certe parti della popolazione, a causa della loro appartenenza o delle loro convinzioni.
Lungi dall’essere rassegnato, Armageddon Time è soprattutto l’opera di un cineasta, in pieno possesso dei suoi mezzi da ormai due decenni, che accetta di lavorare ai margini delle aspettative di un certo cinema per affermarsi come artista singolare. Come sempre nel caso di questo regista, l’ultima immagine simboleggia e finalizza il suo intero approccio. Non lo riveleremo, ma testimonia ancora una volta l’umiltà con cui James Gray affronta ogni suo lavoro.
Armageddon Time è certamente il film più scarno della sua carriera, che spinge costantemente lo spettatore a superare le sue aspettative iniziali, ma è comunque un film di una grazia e di un’intelligenza raramente viste negli ultimi anni.