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“La vendita dei dati sulla posizione solleva interrogativi sul motivo per cui le aziende stanno vendendo dati basati in particolare sulle cliniche per l’aborto e se dovrebbero introdurre maggiori garanzie sull’acquisto di tali informazioni, se non evitare di venderle del tutto”, scrive Cox. I telefoni Apple e Android offrono impostazioni per disattivare i servizi di localizzazione, ma questo potrebbe rendere difficile usare servizi come Google Maps.
E non è solo un problema di posizione: non è raro, ormai, che le forze dell’ordine accedano ai contenuti dei telefoni delle persone, chiedendo anche alle aziende di collaborare. Nella sola prima metà del 2021, per esempio, le autorità statunitensi hanno sottoposto a Google 40mila richieste di dati personali nel contesto di indagini in corso. Così, nel 2017, i pubblici ministeri hanno cercato di usare come prova del fatto che una donna del Mississipi avesse ucciso il suo feto una ricerca di informazioni sui farmaci abortivi su Internet. E nel 2015, dei messaggi in cui si parlava di aborto hanno contribuito alla condanna di una donna per abbandono di minore e feticidio.
Le app che tracciano il ciclo mestruale
A ciò si aggiunge la questione delle app femtech, usate per tenere traccia del proprio ciclo mestruale o di altri dettagli intimi legati alla salute riproduttiva. Si stima che un terzo delle donne negli Stati Uniti ne facciano uso, inserendo nelle app informazioni sui propri periodi di ovulazione, le proprie esperienze sessuali e i contraccettivi usati in modo che il servizio calcoli il prossimo ciclo o aiuti a capire qual è il momento giusto per concepire. Il problema è che moltissime di queste app condividono queste informazioni estremamente delicate con terze parti, finendo per alimentare quegli stessi data broker già menzionati. E anche quelle che non lo fanno potrebbero eventualmente essere obbligate sotto richiesta i dati in loro possesso con le forze dell’ordine che volessero provare ad usarle come prove di una gravidanza interrotta.
“Le nostre leggi sulla privacy, in generale, non sono scritte per l’attuale ambiente tecnologico – ha detto la professoressa Carrie Baker a Protocol –. Non stanno anticipando i tipi di problemi relativi alla sicurezza e alla privacy a cui le persone devono pensare oggi. E penso che la questione dell’aborto sia solo un esempio molto spaventoso“.
Gli esperti per ora ragionano per ipotesi, pensando ai peggiori scenari possibili in un’America post-Wade. “Penso che ci troviamo di fronte a un futuro in cui i dati raccolti dalle app di monitoraggio del ciclo potrebbero essere utilizzati sia per identificare le donne che potrebbero aver avuto un aborto che come prova che una donna ha avuto un aborto, in un futuro in cui cercare di abortire è criminalizzato”, ha affermato Eva Galperin, direttrice della Cybersecurity presso la Electronic Frontier Foundation. Al momento, però, aggiunge, “sono i fornitori di aborti e le persone che lavorano nelle reti di sostegno all’aborto che si trovano nel pericolo più immediato”.
Per loro, il consiglio è di sfruttare i mesi prima della decisione della Corte superma per prepararsi al peggio, imparando “ad agire e pensare come spie”. Ovvero nascondendo la propria attività di navigazione con una Vpn, utilizzando un motore di ricerca crittografato, creando e-mail usa-e-getta e ricevendo eventuali farmaci in luoghi diversi dal loro indirizzo di casa.