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La stanza di Donnarumma, ricreata al Novotel Salerno Est Arechi, è un inno al calcio: palloni, una piccola porta, Holly e Benji, i poster di Gigi Buffon, il suo idolo di infanzia. «Sono sempre stato malato di calcio», ci racconta il numero uno degli Azzurri, «sin da piccolissimo. L’amore per fare il portiere è nato sin da subito: mio zio mi portava in un campo e mi faceva tuffare, da lì ho sempre voluto stare in porta. Non che giocare in attacco non mi piacesse: ogni tanto, quando ero più grandicello, l’idea di stare davanti e segnare mi stuzzicava. Ma tra un gol e una parata, sempre meglio una parata».
Del resto, Gigio l’esempio del portiere lo aveva in casa: suo fratello Antonio, di nove anni più grande. «Lo guardavo giocare, e avevo voglia di farlo anche io. Lui è andato via di casa quando avevo cinque-sei anni, mi è mancato tanto, ma abbiamo sempre avuto un rapporto incredibile. Così durante la mia infanzia ero in camera con mia sorella: tra palloni, guanti da portiere, tuffi sul letto… la facevo impazzire».
Un’ascesa irresistibile
Come suo fratello, anche Gigio, da adolescente, lascia Pompei per trasferirsi a Milano, nel settore giovanile del Milan. A 14 anni, una svolta importante: «Nei mesi precedenti il mio allenatore Ernesto Ferrato parlava spesso con mio padre, diceva che ero molto forte, che potevo diventare davvero uno importante. Ma io facevo finta di non ascoltare. Però quando sono andato via da casa, mi sono reso conto che potevo davvero realizzare il sogno di diventare un portiere professionista. Sin dal primo anno di settore giovanile, ho capito che potevo ambire a traguardi importanti».
Nemmeno lui, forse, poteva però aspettarsi un’ascesa così vertiginosa: prima ancora di compiere 16 anni è già aggregato in alcune partite della prima squadra, diventandone parte integrante nel giro di poche settimane. A 16 anni e 8 mesi, arriva il debutto in Serie A, contro il Sassuolo, e da lì non si ferma più: diventa il portiere titolare del Milan confermandosi come il più classico dei predestinati. «Non ho mai sentito la pressione, e questa è stata la mia forza», dice lui. «Certo, c’era tanta attenzione, ma sono stato bravo a reggerla. E poi devo dire grazie alla mia famiglia che mi ha insegnato l’umiltà, un aspetto fondamentale per arrivare in alto».