Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
Lo chef Niko Romito è fra i relatori del Wired Next Fest 2022. Sabato 28 maggio alle 11,40 – nella sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze, parlerà infatti di sostenibilità. Un tema che lo accompagna da sempre. Niko Romito dal 2000 gestisce il Ristorante Reale con la sorella Cristiana. Cuoco autodidatta profondamente legato al suo Abruzzo, in soli 7 anni ha conquistato 3 stelle Michelin. Ha cominciato a Rivisondoli, nell’ex pasticceria di famiglia, divenuta trattoria, e nel 2011 ha trasferito il Reale a “Casadonna”, ex monastero del 500 a Castel di Sangro. Romito percorre la strada dell’essenzialità, dell’equilibrio e del gusto. In poco tempo ha saputo creare un linguaggio gastronomico personale, e un sistema complesso in cui coesistono alta cucina, format di ristorazione diffusa, formazione superiore e prodotti per il consumo domestico.
Una sintesi della sua idea di cucina?
«Da sempre, ma oggi ancora di più, cerco di esaltare la materia prima in una forma pura, essenziale: una cucina apparentemente semplice, dove nulla è superfluo, ottenuta per stratificazione».
LEGGI ANCHE:
Alimenti preferiti?
«Mi sto concentrando sempre di più su piatti centrati su un unico elemento principale dove i pochissimi (a volte solo uno o due) altri ingredienti rimangono nascosti, e hanno la sola funzione di esaltare alcune note del “protagonista”. Uso le diverse parti dello stesso elemento e differenti tecniche di trasformazione. Studio molto anche le consistenze, che hanno un impatto importante sul gusto. Ciò che ottengo è qualcosa di perfettamente riconoscibile, ma in una forma nuova, più intensa, è come se eliminassi l’opacità da un elemento. Non ho un alimento preferito, ma il vegetale, a cui oggi ho dedicato il menù degustazione del Reale, è ciò che più mi affascina in questo momento. È un universo estremamente ricco e vario e richiede una precisione millimetrica, pochi secondi di cottura in più trasformano l’equilibrio del piatto…».
Una ricetta di famiglia che ha assaggiato da bambino e che le corrisponde ancora?
«Sono due. E sono proprio Madeleine proustiane legate al ricordo e alla memoria! Innanzitutto il Ciambellone di mia madre, la cui ricetta non riesco a riprodurre, ma che io considero il dolce perfetto. Poi certamente la Bomba di mio padre. Un dolce tipico che rese famoso il Reale di Rivisondoli e che negli anni mi ha seguito. Partendo dalla ricetta di questo soffice Krapfen in versione abruzzese, ho sviluppato tutto il progetto Bomba. Ho alleggerito l’impasto, ho standardizzato la produzione e oggi la riesco a realizzare e distribuire Bombe ovunque. Mantenendo il profumo e la qualità di quelle dell’infanzia».
Cosa è cambiato negli ultimi anni, in tema di sostenibilità, per gli chef e per lei in particolare? «È cambiato molto. Anche se la parola sostenibilità è diventata di moda e viene spesso adoperata impropriamente. Per me ha significato, già nel 2013, ridare dignità al pane mettendolo come portata al centro di una tavola stellata. Ho avviato un lavoro importante sui grani antichi e autoctoni della Piana delle Cinque Miglia, nel mio Abruzzo. Constato che quando lavoro su piatti come la Trota del fiume Sangro per ridare dignità a un pesce considerato povero, con una ricetta basata sull'utilizzo di ogni sua parte, persino delle lische, l'esigenza di ridurre gli sprechi è ben presente nel mio processo creativo. Penso al fatto che ho lanciato il primo menu degustazione di vegetali, andando a nobilitare come nel caso del broccolo, parti considerate scarti, come le foglie. Ecco, non so se questa possa essere considerata da parte mia una attenzione alla sostenibilità. Però so per certo che è la mia identità di cuoco e di imprenditore».
Cosa vuol dire “sostenibilità” in cucina?
«Conoscenza degli ingredienti, uso di tutte le parti dell’alimento, ottimizzazione degli scarti sono la base di una cucina sostenibile».
Il concetto di chilometro zero sta lasciando spazio a nuove forme di sostenibilità. Che direzione sta prendendo l'alta cucina e cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?
«La mia ricerca parte da prodotti comuni. Mi piacciono i mercati e la materia prima di tutti i giorni. Non uso primizie e tendo a reperire la maggior parte dei miei ingredienti in loco, in Abruzzo.
Credo che un cuoco debba partire dalla qualità, prima che dal km0. Nessuna posizione deve essere ideologica e forzata. Nel mio futuro vedo la crescita di progetti come il Campus, il nuovo polo di formazione che stiamo costruendo a Castel di Sangro che sarà fondato su ricerca, innovazione e sostenibilità. Sto lavorando, inoltre, allo sviluppo di nuovi format di ristorazione e alla creazione di prodotti che possano arrivare a pubblici sempre più ampi. È un futuro in salita, ricco di sfide, ma è quella la direzione. Rispetto all’alta cucina, credo che quella italiana debba approfittare del momento e diventare più rilevante a livello internazionale. In molti, negli ultimi anni, si sono definiti alfieri della dieta mediterranea, lodando gli aspetti nutrizionali della nostra alimentazione e cucina. Noi cuochi italiani, che ne siamo gli autori, dovremmo avere più coscienza del nostro ruolo di ambasciatori e di interpreti di un’eredità gastronomica e culturale così importante».